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La meglio gioventù? Lontana dall’Europa

, di Oreste Pollicino - ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici
Colpa di discipline realmente troppo complesse e contraddittorie e dei media spesso disattenti

Nicolas Sarkozy non poteva immaginare cosa lo aspettasse al debutto del semestre di presidenza dell'Unione europea.

L'idea era quella di traghettare in porto il Trattato di Lisbona, reincarnazione, solo apparentemente al ribasso, della naufragata Costituzione europea, e celebrare la definitiva consacrazione dell'asse franco-tedesco, simbolo di un'Europa ritrovata dopo il durissimo colpo dei no di Olanda e Francia al Trattato costituzionale di Roma. Le cose, com'è noto, non sono andate come previsto. A rovinare i sogni di gloria di Sarkozy non si sono messi soltanto gli irlandesi che il 12 giugno respingevano con referendum il Trattato di Lisbona, ma anche Vaclav Klaus e Horst Köhler, presidenti delle repubbliche ceca e tedesca, che si rifiutavano di firmare, pochi giorni prima dell'apertura del semestre francese, le leggi di ratifica del Trattato di Lisbona, dichiarando di voler attendere le decisioni delle Corti costituzionali di Karlsruhe e Brno. La ciliegina sulla torta di benvenuto per Sarko l'ha messa il presidente polacco Lech Kaczynski, noto guastafeste, che ha affermato, lo stesso giorno in cui si apriva il semestre francese, di non voler firmare la legge di ratifica già approvata dalla Dieta in quanto «è cosa senza senso dopo il no di Dublino».

In uno scenario come questo, difficile fare previsioni. La reazione ufficiale dell'Unione europea è stata, tanto per cambiare, quella di prendere tempo. Nelle conclusioni del Consiglio europeo riunitosi poco dopo lo stop irlandese si legge: «Il Consiglio ha convenuto che occorre più tempo per analizzare la situazione. Ha preso atto che il governo irlandese procederà attivamente a consultazioni, sia a livello interno sia con gli altri stati membri, al fine di proporre una via comune da seguire».

Il duo Sarkozy-Merkel invita, intanto, a proseguire lungo il processo delle ratifiche del Trattato da parte degli altri stati membri, mentre tutti ci interroghiamo sulle cause e sulle conseguenze di questa nuova empasse. Sembra si possa concordare su un punto: 16 anni dopo essere stato lanciato a Maastricht, il progetto di un'Europa più vicina ai cittadini sembra assai lontano. E non si tratta solo di una lontananza dalle fasce più anziane della popolazione ma proprio da quella «meglio gioventù» che dovrebbe essere la spina dorsale dell'Europa di domani. Basti pensare che un giovane irlandese su due ha votato no al Trattato di Lisbona.

La diagnosi sembra essere un perdurante difetto di comunicazione: a livello statale non filtra il valore aggiunto di un'accelerazione del processo d'integrazione comunitaria. Dai non addetti ai lavori l'Europa è spesso vista (non a tutti i torti) come una macchinosa burocrazia, kafkianamente lontana dalle esigenze del cittadino europeo.

Le responsabilità al riguardo sembrano condivise. Un poderoso Trattato di riforma, con una disciplina così complessa e a volte contraddittoria da risultare difficilmente intelligibile anche agli addetti ai lavori, è alquanto problematico che possa destare interesse tra i cittadini europei.

Ma anche i media hanno la loro parte. In primo luogo, a causa della scarsa attenzione alle politiche europee: in Italia, la notizia della firma del Trattato di Lisbona era relegata all'ombra della cronaca locale, non si dà conto se non eccezionalmente delle discussioni nel Parlamento europeo e le mosse della Commissione europea sono riportate soltanto quando si attiva una procedura d'infrazione nei confronti del nostro paese. A fronte della mancanza di una pars construens dell'opinione pubblica che segua e faccia da supporto alle politiche comunitarie, abbonda invece una pars destruens, pronta a suonare il de profundis a ogni arresto del processo d'integrazione.

In secondo luogo, a causa dell'approssimazione nel riferire le notizie che provengono dall'Europa. I meccanismi decisionali comunitari sono oggettivamente complessi, ma certo non aiuta il fatto che i giornali ancora confondano Corte di Lussemburgo e Corte di Strasburgo, Consiglio europeo e Consiglio d'Europa.

In tutto questo, continuano ad aleggiare due domande cui nessuno ha il coraggio di dare una risposta: se ci fosse stato il referendum anche negli altri paesi dell'Unione, in quanti l'avrebbe spuntata il nuovo Trattato? L'Italia sarebbe stata uno di questi?