Italia, Germania e Giappone: tre esempi per superare il totalitarismo
Le democrazie dei paesi che hanno conosciuto il totalitarismo affrontano un dilemma: devono diventare democrazie militanti? Ovvero, fino a che punto possono comprimere libertà e diritti per difendersi da un'eventuale, nuova deriva autoritaria? In Censoring the past? Suggestions on the German, Italian and Japanese approach to the totalitarian past (pubblicato dal Bulletin of the Nanzan Center For European Studies, rivista del centro di studi europei dell'università di Nagoya), Elisa Bertolini del Dipartimento di studi giuridici della Bocconi affronta i casi di Italia, Germania e Giappone, tre paesi che dopo la Seconda guerra mondiale hanno cercato di bilanciare la compressione della libertà di espressione e la necessità di tutelare l'ordine costituzionale.
«Tutti e tre i paesi hanno adottato disposizioni volte ad arginare la sovversione politica, ma l'hanno fatto in modo diverso», spiega Bertolini. «In Germania, la Corte Costituzionale può dichiarare incostituzionali partiti che operano per il rovesciamento del sistema democratico. Non viene fatta alcuna differenza fra derive di destra o di sinistra, differenza che invece è presente in Italia dove la XII Disposizione transitoria e finale, attuata dalla Legge Scelba, vieta la riorganizzazione, in qualsiasi forma, del partito nazionale fascista. È diverso il caso del Giappone dove l'articolo 66 della Costituzione vieta di nominare i militari membri dell'esecutivo». Un altro elemento chiave per comprendere il grado d'influenza del passato sulla limitazione delle libertà è il modo in cui la storia viene raccontata nei libri scolastici. «In Giappone c'è uno strettissimo controllo sul contenuto dei libri di testo, anche universitari, volto a eliminare dalla narrazione i momenti più controversi della Seconda guerra mondiale che ancora oggi creano tensioni con Corea del Sud e Repubblica Popolare Cinese. Il passato totalitario è negato o edulcorato nei libri su cui si formano gli studenti».
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