Contatti

Istantanee sull'economia italiana: cronaca di un risveglio?

, di Elisa Bazzani
Assieme agli studenti di Storia contemporanea, Francesco Manacorda ha tracciato un profilo del sistema industriale italiano

Quali sono le tendenze e le prospettive del nostro paese? Quali i fattori di competitività e le componenti più dinamiche del sistema produttivo italiano? Per affrontare queste tematiche Francesco Manacorda, che è vicedirettore e responsabile delle pagine economiche di La Stampa, ha cominciato richiamando una serie di "istantanee", suggestioni sullo scenario economico di un'Italia che timidamente esce da un ciclo di crisi finanziaria e dell'economia reale di quasi otto anni, un'Italia dove accanto ai segnali positivi non mancano le immagini della sofferenza di un sistema industriale che negli ultimi quarant'anni ha visto diminuire il numero di grandi imprese pubbliche e private a capitale esclusivamente italiano – si pensi ai casi di Fiat Chrysler, Indesit e Pirelli – e che "rischia di vedere molta parte del proprio apparato produttivo trasformarsi in pezzo da museo".

Sono le questioni su cui ieri Manacorda si è confrontato insieme agli studenti del corso L'Italia contemporanea: economia e società dal 1945 ad oggi di Giuseppe Berta, che da diversi anni invita un giornalista a partecipare alla lezione di chiusura del corso di Storia contemporanea.

Rispetto ai decenni passati, il primato delle piccole imprese e della gestione familiare anche delle eccellenze (su tutte i grandi marchi dell'alimentazione e dell'alta moda) si conferma una caratteristica costante della realtà economica italiana, che pure si configura come molto irregolare e di difficile interpretazione: "Il capitalismo familiare è stato sempre un punto di forza dell'industria italiana, ma forse è arrivato il momento di chiedersi se non stia diventando anche un limite", rifletteva Manacorda. In questo panorama variegato le difficoltà di fare impresa sono riconducibili a molteplici fattori, che includono un mercato interno di dimensioni ridotte, la scarsità di capitali, il basso potere d'acquisto e la propensione al risparmio abbinata all'invecchiamento della popolazione. Si delinea in questo modo una situazione in cui il crowd funding e gli interventi da parte di investitori privati e business angels sono ancora in una fase embrionale, mentre il risparmio, per quanto cospicuo, non si trasforma in finanziamento, proprio perché riguarda le fasce più anziane. A rendere il quadro più lineare non contribuisce la politica, tradizionalmente instabile e restia a proporre piani industriali e a tracciare prospettive nell'economia del paese – come dimostrano le vicende legate allo sviluppo della banda larga. Senza dimenticare le problematiche tipiche della realtà italiana: una giustizia dai tempi dilatati e dagli esiti incerti e la burocrazia, che certo non incoraggiano gli investitori stranieri.

Tra i protagonisti della partita si fa notare anche la generalizzata mancanza di fiducia. E tuttavia non mancano aspetti incoraggianti al di là delle eccellenze tradizionali: si pensi ad esempio alla ripresa del tessile nelle iper-nicchie dell'innovazione e del lusso, agli interventi degli amministratori locali che sempre più spesso diventano protagonisti nel finanziamento delle imprese attraverso la creazione di incubatori, ma anche alla "Subalpine valley" costituita dai Politecnici di Milano e Torino e da poli come Università Bocconi. Rappresentativa delle contraddizioni italiane da questo punto di vista è la qualità dei laureati, non sempre ricordata nonostante l'importanza del fenomeno della fuga dei cervelli: "Partendo dalla scuola primaria, lo stato italiano spende circa 500.000 euro per formare ciascuno dei suoi medici. Che poi però per la metà se ne vanno all'estero, dove sono tanto richiesti", ha ricordato Manacorda.