Il nostro modello di welfare
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Giorgio Trojsi |
Quando si pensa alle realtà che compongono il mondo multiforme del volontariato, le si immagina basate soprattutto sull'impegno personale e la dedizione. È vero, ma come le aziende, anche le non profit richiedono una gestione efficace per mantenersi e svilupparsi. Lo sottolinea Giorgio Trojsi, laureato in economia aziendale nel 1984 alla Bocconi e segretario generale della Vidas, associazione che dal 1982 ha assistito gratuitamente 28 mila malati terminali a Milano, Monza e in 103 Comuni della provincia, al loro domicilio e nel proprio Hospice Casa Vidas.
Quali sono le voci di entrata di una onlus come la vostra?
I proventi della gestione ordinaria (dati 2012) sono rappresentati da quattro voci: raccolta fondi tra privati, aziende, altri enti (41%), da enti pubblici (29%), da lasciti testamentari (14%) e dal 5 per mille (16%). Riguardo a quest'ultimo, nel 2010 è stato assegnato a Vidas il 17esimo posto su oltre 30 mila enti beneficiari, segno di forte radicamento sul territorio. Ma la crisi si è fatta sentire: fino al 2008 ci finanziavamo soprattutto con contributi privati, il contributo pubblico arrivava solo al 5% delle entrate. Poi c'è stata una progressiva riduzione delle liberalità e una crescita, a compensazione, dei proventi da accreditamenti con le Asl.
Molte onlus, oggi, dipendono dal pubblico per la propria sopravvivenza.
Ciò non dovrebbe succedere. Bisognerebbe riuscire a sviluppare la capacità di raccogliere fondi nel mondo privato, perché se non ci si riconosce nelle politiche pubbliche di welfare bisogna disporre di un margine di manovra per poter essere ascoltati come interlocutori non solo credibili, ma anche forti. Sarebbe bene, insomma, evitare di diventare solo dei fornitori del pubblico, salvaguardando la propria autonomia di azione e di pensiero. Senza una funzione di advocacy il mondo non profit perderebbe molto del suo significato.
Ci sono affinità con le aziende nella gestione?
Una onlus è per molti versi un'azienda, con in più il settore della raccolta fondi. Una funzione che richiede professionalità e creatività per valorizzare ciò che fa l'associazione e rigore e trasparenza per l'accountability, perché si deve rendere conto ai donatori e alla pubblica amministrazione. Ancor più che in azienda, poi, la mission dell'associazione deve essere sentita da chi ci lavora ed è necessaria un'attenta comunicazione interna per poter puntare uniti ai medesimi obiettivi, anche perché leve come retribuzioni o avanzamenti di carriera sono meno incentivanti che nelle imprese. In Vidas, nonostante l'attività dei 70 operatori socio-sanitari sia emotivamente molto forte (si tratta di accompagnare i malati nell'ultimo tratto di vita), il tasso di abbandono è basso. E i 100 volontari che li affiancano, formati e sostenuti psicologicamente nella loro attività, restano per 3-4 anni, un periodo lungo per un volontariato così difficile. Tutto ciò è merito di un intenso lavoro d'équipe.
Altre analogie?
Come accade per le imprese, spesso le non profit nascono da piccole esperienze. I problemi arrivano al momento della crescita, quando aumenta la necessità di decentrare le decisioni mantenendo uno stretto coordinamento. Nel volontariato molte esperienze nascono dalla determinazione di un fondatore che vi profonde tutte le sue energie, poi però la non profit deve svilupparsi mantenendo forti le proprie radici e la spinta motivazionale, ma dotandosi di nuove professionalità, strumenti e meccanismi organizzativi.