Il mercato del venditore e' un ricordo
Cosa è accaduto in Europa a uno dei segmenti più rilevanti dell'industria finanziaria (le acquisizioni a leva, Lbo o leveraged buyout) dopo lo scoppio della crisi finanziaria e quale effetto ha avuto la crisi dell'economia reale sulle strategie di investimento degli investitori di private equity?
La domanda non è banale per almeno due aspetti: da un lato, la politica monetaria ancora oggi è molto accomodante e i prenditori di fondi sono in grado di sfruttare segmenti di mercato in cui i finanziamenti possono essere recuperati a condizioni di costo nel complesso accettabili e simili ai livelli pre-crisi; dall'altro lato, mentre la letteratura e la pratica hanno studiato il ruolo degli investitori in capitale di rischio in tempi di normale attività economica, poco ancora si sa sul comportamento dei private equity investors in tempi di crisi. I dati di trend ci dicono che, dal 2003 al 2007, i prestiti concessi per acquisizioni a leva sono passati in Europa da circa 50 a quasi 200 miliardi di dollari, in linea con quanto accaduto sul mercato americano. Il propulsore di questo incremento è stato l'aumento dell'attività dei private equity investor, molto attivi in questo segmento di mercato, che non solo hanno aumentato le richieste di finanziamento ma anche il rapporto tra debito ed equity investito. Mentre prima del 2005 la percentuale di deal finanziati con un rapporto debito/Ebitda superiore a 6 volte era molto bassa (meno del 10%), tra il 2005 e il 2007 tale percentuale è aumentata fino a circa il 50%. Le condizioni molto favorevoli presenti sui mercati finanziari (tassi di interesse bassi per troppo tempo) hanno incentivato due comportamenti non virtuosi: da un lato, un uso più intenso della leva finanziaria, dall'altro lato, l'incentivo per i private equity investor a pagare multipli di prezzo via via crescenti. Nuovamente, i dati indicano che in Europa il multiplo medio di acquisizione è passato da circa 7 volte l'Ebitda del 2003 a circa 10 volte tra il 2008 e il 2009. In definitiva, il quadro del mercato pre-crisi era quello di un eccesso di debito a basso costo che finanziava transazioni molto costose in termini di prezzo e premio di acquisizione. Una tipica situazione di "mercato del venditore". La crisi finanziaria che ha cominciato a diffondersi tra il 2007 e la fine del 2008 con il fallimento di Lehman Brothers ha posto fine a questo trend. L'inasprimento dei criteri di affidamento da parte delle banche, la limitata quantità di liquidità presente sul mercato da destinare a impieghi a maggior rischio e il raffreddamento del mercato interbancario ha reso più difficile il finanziamento di queste operazioni con leve finanziarie estreme. La crisi economica, inoltre, ha peggiorato le prospettive reddituali delle aziende acquisite, facendo emergere la necessità di rilevanti svalutazioni degli avviamenti pagati durante il periodo di euforia dei mercati. Tali svalutazioni hanno determinato un aumento dei tassi di insolvenza delle imprese e la necessità di procedere a processi di ristrutturazione delle passività aziendali. I dati di Lcd/Standard and Poor's segnalano un valore di debito in default in Europa a fine 2009 pari a circa 25 miliardi di euro e un tasso di insolvenza di circa il 14%. Sono cifre non lontane da quanto sperimentato nel 2002 dopo lo scoppio dell'ultima grande bolla, quella delle dotcom.In questo quadro, il ruolo del private equity investor si è modificato. Da un lato, alcuni operatori hanno semplicemente passato il testimone ai creditori azzerando il valore delle loro partecipazioni. Dall'altro, tuttavia, alcuni di essi si sono dimostrati validi interlocutori del sistema creditizio specie in situazioni nelle quali le imprese potevano avere un potenziale di recupero del valore dopo un processo di sistemazione della struttura debitoria. In un recente studio condotto da Aifi insieme a Lazard con specifico focus sull'Italia, è stato dimostrato che gli investitori in capitale di rischio hanno spesso reinvestito risorse nelle imprese partecipate condividendo i sacrifici richiesti ai propri creditori e cercando con essi le soluzioni di ingegneria finanziaria migliori per consentire la sopravvivenza dell'impresa.