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Il genio non basta

, di Andrea Celauro
Italia che non sfrutta i propri talenti culturali e che non guarda al di là del proprio naso per valorizzare la creatività. Ne discutono giovedì 22 aprile a Economia e società aperta, Bonomi, da Empoli e Salvemini

Italia patria del bello, Italia simbolo dell'arte. Ma Italia anche incapace di valorizzare il proprio talento creativo, che possiede il genio ma non lo sfrutta, nell'idea che questo emerga comunque da solo. "L'odierna creatività, quella eccellente, internazionalmente competitiva", commenta Severino Salvemini, direttore del corso di laurea triennale Cleacc della Bocconi, "è invece distante dallo stereotipo di sregolatezza da bohemien, ma è fatta di metodo, tecnica, scuola". Dei creativi, dell'attrattività italiana e delle politiche di incentivazione della creatività Made in Italy si parlerà giovedì 22 aprile, alle ore 21 presso la Sala Buzzati del Corriere, nel corso della settima conversazione serale di Economia e società aperta. All'incontro, moderato da Paolo Mereghetti, parteciperanno, oltre a Salvemini, Aldo Bonomi, fondatore del Consorzio Associazione agenti di sviluppo del territorio, e Giuliano da Empoli, assessore alla cultura del Comune di Firenze.

"L'Italia, paese fantasioso per antonomasia, sembrerebbe il contesto più attrattivo per i creativi", continua Salvemini, "peccato poi che tale potenziale attrattività non sempre si traduca in realtà: i talenti immaginativi non giocano ruoli cruciali nelle reti istituzionali, la diversità, elemento di crescita culturale, è sopraffatta dall'intolleranza, le personalità devianti sono emarginate". E dire che, stando ai dati, sembra anzi che l'Italia stia recuperando un certo gap, quanto a 'densità di creatività', rispetto agli altri paesi europei e agli Usa. "La concentrazione di creativi è passata dal 23% del totale della forza lavoro nel 1991 a circa il 32% nel 2001", spiega il docente della Bocconi. "Inoltre, in un momento in cui il paese è faticosamente in cerca di un nuovo made in Italy, valorizzare e attrarre i creativi diventa un'ineludibile necessità. Di fronte a questo chiaro fabbisogno, però, il gap delle policy è preoccupante rispetto agli altri paesi". Manca, secondo Salvemini, una precisa country strategy: "Il tema delle industrie creative e dei creativi è assente dal dibattito e dall'agenda politica nazionale. Chi riflette sui temi culturali è ancora distratto dalla discussione, assolutamente secondaria, se sia meglio la tutela o la valorizzazione dei beni culturali". Un approccio miope e superato che non coglie "quanto sia il contesto sociale e geografico a contare, non il trasferimento tout court della mentalità manageriale ed economica nella cultura". Una via, anzi alcune vie di uscita, ci sono. Innanzitutto, al di là del livello nazionale, sono gli enti territoriali e la città che devono muoversi per attrarre i talenti creativi dall'esterno e creare "un contesto urbano, dove cultura e sviluppo economico si integrano, dove welfare declinante e partecipazione privata si sostengono a vicenda ma al di là della mera sponsorizzazione", sottolinea Salvemini. Fondamentale, poi, "elevare il riconoscimento e la dignificazione dei creativi, creando modelli da emulare, e garantirne la successione generazionale, poiché la creatività si esprime in ondate temporali. Ogni fascia di età deve essere messa in grado di esprimere un tasso di innovazione almeno pari a quello della generazione precedente". In questo, è importante il ruolo della formazione accademica, che dovrebbe "aumentare la qualità dell'insegnamento su competenze non canoniche e favorire l'attrazione di studenti dall'estero".