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I terremoti fanno male alle borse - anche quando la terra non trema

, di Fabio Todesco
La percezione del rischio di disastro è il principale responsabile della scarsa presenza di azioni nel portafoglio delle famiglie, secondo un nuovo modello del ciclo di vita di Daniela Kolusheva del Dipartimento di Finanza

In un mondo soggetto ai disastri l'entusiasmo degli individui razionali per il possesso di azioni si affievolisce, sostiene Daniela Kolusheva, assistant professor al Dipartimento di Finanza, nel working paper Life-Cycle Portfolio Allocation When Disasters Are Possible, anche se investimenti più prudenti si traducono, in media, in una perdita di ricchezza (21% l'anno) e di consumo (13,8%).

A partire dalla fine degli anni '60, popolari modelli del ciclo di vita indicano che gli individui dovrebbero investire in azioni quasi tutto il loro portafoglio finanziario, indipendentemente dalla ricchezza o dall'età. Nel mondo reale, però, "la maggioranza delle famiglie americane non investe affatto nel mercato azionario e anche tra chi possiede azioni la loro quota sul totale delle attività finanziarie era circa il 51% nel 2004 e il 53% nel 2007". Il paper di Kolusheva suggerisce che ciò potrebbe non essere dovuto all'analfabetismo finanziario, al cattivo funzionamento dei mercati o alla mancanza di fiducia nelle autorità di regolamentazione, bensì alla paura di rari ma devastanti eventi che potrebbero innescare crolli di mercato e crisi macroeconomiche – talora simultaneamente. Dal momento che i terremoti possono verificarsi e le guerre possono scoppiare, in altre parole, le persone si tengono lontane dai mercati azionari.

Usando dati statunitensi di lungo periodo, dal 1870 in poi, Kolusheva stima un equity premium del 6%, sufficiente a spiegare la prevalente presenza di azioni in portafoglio secondo i modelli tradizionali. In questi modelli, però, il reddito da lavoro svolge la funzione di attività priva di rischio e gli individui si sentono liberi di investire tutta la loro ricchezza in attività ad alto rischio e alto rendimento come le azioni. Nel modello di Kolusheva, al contrario, il reddito da lavoro è soggetto al rischio di crisi macroeconomica e tale rischio influenza l'allocazione degli investimenti tra obbligazioni senza rischio e azioni: maggiore il rischio percepito di crisi macroeconomica, maggiore la porzione di ricchezza investita in obbligazioni senza rischio, con la funzione di cuscinetto. Inoltre i mercati azionari sono soggetti al rischio di crollo e maggiore è il rischio percepito, minore la quota di ricchezza che le famiglie sono disposte a investire in azioni. Nei casi peggiori le crisi macroeconomiche e i crolli di mercato avvengono contemporaneamente e la probabilità percepita di disastri congiunti tiene le famiglie ancora più alla larga dall'investimento azionario.

Kolusheva, utilizzando la tassonomia dei disastri di Barro e Ursua (2009), definisce i crolli di mercato come "rendimenti reali cumulati dal picco al punto più basso di almeno -25%" e le crisi macroeconomiche come "declini cumulativi del PIL o del consumo del 10% o più", e utilizzando dati su 30 paesi a partire almeno dagli anni '30 fino al 2006, identifica 232 crolli del mercato azionario e 100 depressioni, con 71 casi di eventi concomitanti – prima ancora che si sentisse anche solo parlare di cigni neri e tempeste perfette. Ciò significa che ogni investitore è esposto a una probabilità del 2,64% di passare da uno stato di normalità un anno a uno di disastro che comprende sia un crollo di mercato che una depressione l'anno seguente; una probabilità del 7,47% di transizione a un semplice crollo di mercato e una probabilità dell'1,15% di transizione a una crisi macroeconomica. Il rendimento azionario medio in caso di disastri congiunti è -53% con una durata di 3,8 anni; in caso di semplice crollo di mercato è -43% in 2,9 anni e in caso di semplice crisi macroeconomica è di -9% in 1,7 anni. Le contrazioni medie del PIL sono rispettivamente del 23%, 1% e 17%.

Quando si considera la rischiosità del reddito da lavoro e la probabilità di un disastro incombente, il comportamento degli agenti razionali cambia, inducendoli a detenere meno azioni per ogni livello di età e di ricchezza.

Kolusheva testa il proprio modello, confrontandolo con il modello senza disastri, per parametri realistici di reddito da lavoro e una distribuzione dei disastri che corrisponde a quella registrata storicamente e trova differenze sorprendenti. La quota ottimale di azioni nel portafoglio degli investitori tra i 50 e i 60 anni, per esempio, è del 91% nel modello senza disastri e del 29% quando i disastri sono possibili. In quest'ultimo modello "in media gli individui di mezza età investono solo il 30- 35% del proprio portafoglio in attività rischiose, sovrapponendosi con buona precisione ai dati di investimento mediano in azioni come percentuale della ricchezza netta rilevati dal Survey of Consumer Finances del 2007". La studiosa calcola che il costo di investire in modo più prudente per difendersi dai disastri sia ampio: una perdita del 21% in termini di ricchezza e del 13,8% in termini di consumo, dovuti per la maggior parte alla correlazione tra i crolli di mercato e le crisi macroeconomiche.

Non è l'effettivo verificarsi dei disastri – Kolusheva sottolinea – a tenere le famiglie lontane dalle azioni, ma il rischio percepito, e piccole differenze di percezione determinano grandi differenze nella quota di azioni, approssimando piuttosto bene la varietà di situazioni del mondo reale. Un rischio percepito di disastro pari al 6% è sufficiente a indurre la famiglia mediana a stare completamente fuori dal mercato azionario.