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I robot rubano il lavoro ai sindacati

, di Andrea Celauro, translated by Andrea Costa
L’automazione ha avuto un impatto maggiore sull’occupazione dei settori in cui le rappresentanze sindacali erano più forti. Uno studio della Bocconi evidenzia il calo nel tasso di sindacalizzazione in Italia e avverte: “Se non si inverte la tendenza è a rischio la coesione sociale”

La contrattazione collettiva è un pilastro fondamentale del modello sociale europeo. In Italia, nei decenni, i sindacati hanno garantito aumenti dei salari adeguati all’incremento della produttività e un progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro. Oggi, però, sono in declino: in vent’anni, secondo uno studio della Bocconi, il tasso di sindacalizzazione è andato calando dal 30% al 12% circa. Meno iscritti significa meno potere contrattuale, quindi meno tutele in un momento storico in cui le sfide dello sviluppo tecnologico richiederebbero al contrario una maggiore tutela dei lavoratori di fronte alla contrazione dell’occupazione in alcuni settori.

Condotto da un team di ricercatori dell'Università Bocconi, guidato da Paolo Agnolin, Massimo Anelli, Italo Colantone e Piero Stanig, e finanziato da Fondazione Cariplo, lo studio esplora l'impatto delle nuove tecnologie sul panorama sindacale europeo. Attraverso l'analisi dei dati relativi all'adesione sindacale in 15 Paesi europei nell'arco di vent'anni, fino al 2018, lo studio offre una preziosa lente d'ingrandimento sull'evoluzione del ruolo dei sindacati nell'era digitale.

La carenza di dati ufficiali disaggregati sul numero di iscritti ai sindacati ostacola la ricerca sull'impatto dei mutamenti sociali sui sindacati. Conosciamo il dato complessivo sulla sindacalizzazione in un determinato Paese e in un determinato anno, ma non abbiamo numeri più specifici che descrivano le differenze di presenza sindacale tra i diversi settori industriali e le diverse aree geografiche.  Lo studio della Bocconi, con un metodo innovativo per stimare la percentuale di lavoratori sindacalizzati, ha permesso di creare un dataset unico per colmare questo vuoto informativo.

I risultati mostrano una tendenza negativa diffusa, con l'Italia che si avvicina a paesi tradizionalmente poco sindacalizzati come la Francia. Le differenze tra regioni e settori sono marcate: dal 25% del Trentino-Alto Adige al 7% della Liguria, e dal 27% della pubblica istruzione al 6% delle attività domestiche. 

Ma a cosa è dovuto questo neanche tanto lento declino? “La globalizzazione e l’automazione hanno contribuito a ridurre l’occupazione in quei settori, come l’industria manifatturiera, in cui i sindacati erano tradizionalmente più forti”, spiega Massimo Anelli, professore associato del Dipartimento di Scienze sociali e politiche della Bocconi, ed esperto di economia del lavoro. “A questo si aggiunge il fatto che interi settori sviluppatisi grazie alla tecnologia, si pensi alle attività della gig economy, non esistevano fino a pochi anni fa e di conseguenza in questi il sindacato non è presente”.

Riducendosi progressivamente la base su cui possono contare i sindacati, si riduce di conseguenza anche la loro forza di negoziazione. “Semplificando, possiamo pensare alla produzione di beni e servizi come il risultato di un processo che impiega due fattori, il lavoro e il capitale investito”, continua Anelli. “In una società come quella odierna, in cui la tecnologia (che fa parte del capitale investito) ha un ruolo sempre più centrale nel processo di produzione, si riduce progressivamente l’importanza della componente lavoro. Allo stesso tempo, con meno lavoratori iscritti ai sindacati, diminuisce di conseguenza la capacità di questi ultimi di proteggere i salari. È un cane che si morde la coda”.

Ecco perché, conclude Anelli, “Un sindacato forte è importante per preservare la coesione sociale di fronte alle trasformazioni strutturali della società. I nostri dati ci dicono che il tasso di sindacalizzazione sta scendendo: se non sarà invertita questa tendenza, l’Italia rischia di raggiungere i livelli di partecipazione sindacale più bassi d’Europa”.

MASSIMO ANELLI

Bocconi University
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche