I contratti collettivi non sono fermi ai Settanta
Può il contratto collettivo essere uno strumento efficace per premiare il merito individuale dei lavoratori e contribuire, così, sia al miglioramento della produttività delle imprese che all'incremento delle retribuzioni? Diciamo subito che la risposta a questa domanda è tutt'altro che scontata, perché deve fare i conti con l'evoluzione del ruolo del sindacato, dalle sue origini ad oggi. Va ricordato, infatti, che nel dna originario del contratto collettivo non era compresa la funzione di premiare i migliori, essendo il suo scopo, invece, quello di contrastare le disuguaglianze, garantendo a tutti condizioni ugualmente dignitose di lavoro e di salario. La rivendicazione collettiva nasce dall'espressione sintetica degli interessi dei lavoratori. Del resto, la storia sindacale è intimamente legata a quella della classe operaia, che traeva forza proprio dalla sua omogeneità strutturale e dalla unitarietà della sua rappresentanza. I movimenti operai dell'inizio del secolo scorso avevano una visione indistinta della "forza lavoro" perché solo così era possibile aggregare la massa critica necessaria per controbilanciare efficacemente il potere contrattuale dell'imprenditore.
Tuttavia, se è vero che questa è l'origine della specie sindacale, è anche vero che nel tempo essa ha subito una profonda evoluzione, al punto che oggi i più moderni prodotti della contrattazione collettiva presentano tratti nuovi e sconosciuti alle origini del fenomeno.Una delle critiche ricorrenti che vengono rivolte ai sindacati è di non essere al passo con i tempi, di essere rimasti legati ad un mondo produttivo che si è ormai definitivamente estinto.Si tratta, per lo più, di una critica superficiale che, se può trarre argomenti da ciò che rimane ancora oggi della contrattazione collettiva degli anni Settanta, riceve anche delle significative smentite dalla più recente evoluzione degli assetti contrattuali. Intendiamoci: non si può negare che aree consistenti della contrattazione nazionale siano ancora oggi regolate da formule concepite in tempi risalenti, quando l'istanza prioritaria era il livellamento e l'omogeneizzazione dei trattamenti retributivi, delle mansioni, degli inquadramenti contrattuali e dell'orario di lavoro, restringendo il più possibile gli spazi di manovra della contrattazione di secondo livello. In quella prospettiva, la valorizzazione del merito individuale e la conseguente incentivazione della produttività non trovavano spazio perché sostanzialmente estranee alla funzione stessa del contratto collettivo. Ma quel sistema è stato progressivamente integrato da regole nuove che, riconsiderando gli equilibri fra contrattazione nazionale e di secondo livello, mirano a realizzare il necessario bilanciamento fra le indeclinabili esigenze di tutela generale dei diritti e la praticabilità di modelli organizzativi dell'impresa al passo con le nuove sfide del mercato.È in questo nuovo contesto che si ritrovano, oggi, esempi importanti di contratti collettivi capaci di valorizzare il merito, senza perciò compromettere i diritti fondamentali dei lavoratori. Nelle imprese più dinamiche e strutturate, quelle che anche in tempo di crisi hanno continuato a investire sul capitale umano, si è ben compreso che la contrattazione di secondo livello non è più, come spesso avveniva in passato, un fardello da aggiungere al contratto nazionale, ma costituisce una leva essenziale per la motivazione e il miglioramento della professionalità dei lavoratori, con un formidabile ritorno per l'azienda in termini di efficienza e produttività.