A garanzia del consumatore digitale
"La missione dell'Autorità è ribadita nel suo stesso nome, garanzia": lo sottolinea Angelo Marcello Cardani, che condurrà, in qualità di suo nuovo presidente, l'Agcom fino a ridosso della fatidica soglia del 2020, data cruciale per il suo riferimento all'Agenda digitale e al Piano di sviluppo europei. Una sottolineatura, quella di Cardani, che intende richiamare l'altra faccia dell'attività dell'Authority, la tutela del consumatore, interconnessa e non meno importante della regolazione.
Nei suoi primi 15 anni l'Agcom ha operato in un mercato in pieno cambiamento e a volte poco trasparente. Come funziona l'aspetto della tutela?
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Angelo Marcello Cardani, presidente AgCom |
L'Autorità ha come mandato la tutela dei mercati, per garantire che condizioni di concorrenza prevalgano, ossia che non si costituiscano posizioni dominanti che potrebbero stroncare la concorrenza per estrarre dai consumatori un profitto ingiustificato. Ma l'Autorità ha tra i suoi compiti anche la protezione del singolo consumatore, ossia l'intervento a protezione del consumatore vessato da pratiche a dir poco disinvolte poste in essere da imprese senza molti scrupoli. Su questi fronti l'attività dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è sempre stata intensa. L'Agcom è strutturata sul territorio con i Corecom, organismi che prestano assistenza diretta al consumatore. Purtroppo, questo importante aspetto del lavoro dell'authority è sempre molto poco pubblicizzato sulla stampa. L'altro aspetto è quello della regolazione. Quale rapporto deve esserci tra regolatore e legislatore? Ci sono problemi tecnici, anche molto complessi, che l'Agcom è competente a risolvere, ma ci sono altre questioni di ordine superiore, in particolare richiamate dalla tendenza alla convergenza sul digitale di tanti settori – stampa, editoria, televisione, telefonia, internet e pubblicistica basata sul web - che coinvolgono diritti, libertà, valori, sui i quali un'Autorità tecnica ha minore legittimazione a decidere che non il Parlamento. Ci dovrà quindi essere forte collaborazione tra le due istituzioni. E rispetto alle altre Authority? Il rapporto più stretto è con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, siamo una specie di Giano bifronte. E possono esserci sovrapposizioni e convergenze anche con il Garante per la privacy su altri temi. Tra i diversi temi sul tavolo dell'Agcom c'è il ritardo digitale del nostro paese. Dobbiamo investire in infrastrutture e diffondere cultura digitale. Tutto sta convergendo verso il segnale 01, rendendo necessaria l'alfabetizzazione digitale del paese e del suo sistema produttivo. Nel manifatturiero ci sono già segnali in questo senso, che evidenziano tra l'altro come il dominio di queste tecnologie non sia più la missione di un settore. Di contro, il cominciare da un lato a pensare, e dall'altro a lavorare in digitale rende più evidente la cesura con chi è legato a un sistema produttivo di vecchia generazione.
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Per facilitare l'alfabetizzazione servono però reti adeguate. La velocità di trasporto del segnale è uno snodo fondamentale: non solo rende praticabile attività nelle quali grandissime quantità di dati devono pervenire a destinazione in breve tempo - si pensi alla telemedicina - ma accelera l'alfabetizzazione di utenti che toccano con mano l'utilità della rete. L'effetto sull'intera economia italiana delle reti di nuova generazione sarebbe rilevante: si stima che tra effetti diretti e indiretti sarebbe possibile indurre una crescita del PIL compresa tra l'1 e il 2%. L'Italia è strutturalmente in gravissimo ritardo rispetto ad altri paesi per accesso e velocità di internet. Rispetto alla media europea del 70%, gli italiani che utilizzano la rete sono poco più del 50%. Governi e investitori non insistono ancora su questa via. Dobbiamo cominciare a muoverci su un altro piano e servono regole che rendano questo processo più aperto e attraente. In questo, il ruolo di vigilanza dell'Authority sarà importante. Un economista che segue alla presidenza due giuristi, Calabrò e Cheli. Come legge questo passaggio? Con molta preoccupazione: non è facile calarsi nel ruolo di giuristi del calibro dei miei predecessori. L'economista tende ad un approccio legato alla concreta importanza delle cose, intesa come dimensione degli effetti, mentre il giurista è concentrato sul principio. Credo che la scelta di un economista per questo ruolo sottolinei il cambiamento in atto. Del resto è la stessa politica della concorrenza, a partire dagli Stati Uniti, a essersi spostata verso un approccio economico. Per quanto mi riguarda, il settennato che mi aspetta lo vedo racchiuso in due parole: tanto lavoro.