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E' in citta' che la creativita' pianta i suoi semi

, di Andrea Celauro
I creativi devono trovare dignità prima di tutto nella dimensione urbana, hanno sottolineato ieri Bonomi, da Empoli e Salvemini a Economia e società aperta

I creativi sono una necessità per il nostro paese. Ma il talento creativo, se lasciato a se stesso, non contribuisce a fare massa critica, risultando poco utile per lo sviluppo complessivo del sistema culturale ed economico. Oltre a una strategia a livello di paese, che in Italia è ancora carente, occorre che sia la dimensione del territorio a puntare sui creativi. Dando dignità al loro lavoro, favorendo il passaggio generazionale, aumentando il tasso di cosmopolitismo delle città, migliorando la formazione accademica con competenze diversificate e, soprattutto, "assecondando un progetto federalista che spinga i creativi a sviluppare progetti per il territorio", imparando a calcolarne, nel contempo, le positive ricadute economiche in loco. Lo ha affermato ieri Severino Salvemini, ordinario Bocconi, durante la sua introduzione all'ottava conversazione di Economia e società aperta, presso la Sala Buzzati del Corriere della Sera.

Con Salvemini hanno discusso del ruolo dei creativi nel contesto delle nostre città, Aldo Bonomi, fondatore del Consorzio Associazione agenti di sviluppo del territorio, e Giuliano da Empoli, assessore alla cultura del Comune di Firenze. Bonomi è d'accordo con Salvemini sulla necessità di puntare sul territorio, "la cui t dovrebbe aggiungersi alle tre (tecnologia, talento, tolleranza) individuate da Richard Floridan per promuovere la creatività", commenta. In questo contesto, e parlando nello specifico di Milano, soprattutto è "fondamentale che al tessuto connettivo creativo della città sia data parola, che sia data voce a questa categoria". Anche perché è questo tessuto che fa da connessione tra gli elementi più centrali di Milano con quella che Bonomi chiama "la città infinita", ovvero quel tessuto brianzolo "fatto di 500 mila imprese con 1,5 milioni di addetti".

Creatività. Una parola che Giuliano da Empoli sostituirebbe invece con "cultura", visto che creatività "è fortemente fuorviante, dando illusione di leggerezza, di facilità. Mentre invece è un privilegio che si conquista con una ferrea disciplina". Da questo punto di vista, "mi spaventa l'indebolimento culturale del nostro paese. Mi sembra che oggi manchi la capacità di elevare la trasformazione culturale con momenti di sintesi; è difficile diffondere il cambiamento e comunicarlo all'esterno". Quale può essere allora il ruolo delle università nello sviluppo dei creativi, chiede Paolo Mereghetti al docente della Bocconi? "Non si può insegnare la creatività, ma l'Università può fare molto dal punto di vista del metodo. Ossia puntare sull'interdisciplinarità, sull'internazionalizzazione di docenti e studenti e facendo sistema con gli altri atenei. In questo modo il sistema di conoscenze diventa misto". Inoltre, sottolinea Salvemini, è importante innovare anche nell'innovazione, "perché alcuni processi che regolano quest'ultima sono ormai vecchi" e c'è bisogno di giovani tra i ricercatori. Ricambio generazionale anche tra i creativi, dunque. "È anche colpa della nostra generazione se questo non avviene", commenta il 36enne da Empoli, che, allargando il discorso alla rappresentanza nelle istituzioni, racconta l'esperienza della giunta comunale fiorentina, "che ha un'età media di 40 anni, con sindaco e vicesindaco di 35". Già, perché il problema, secondo Bonomi, risiede più in generale in una carenza di rappresentanza, come peraltro sottolineato anche da Salvemini, dei creativi. "Nessuna forza sociale li rappresenta veramente", dice Bonomi, "sebbene tutti dicano che lo fanno. Lo dicono i sindacati, sottolineando che i creativi sono precari, lo dice la Confartigianato, dicendo che in realtà sono artigiani, e lo dice la Confindustria, sostenendo che si tratta di terziario avanzato. In realtà, però, non hanno voce".