Dopo la crisi, saremo orfani dell’America?
La crisi come acceleratore di tendenze già in atto e come minaccia implicita allo sviluppo della democrazia nel mondo. È stato un punto di vista inedito quello espresso ieri sera dal politologo Angelo Panebianco nel corso di "Dopo la tempesta: istruzioni per sopravvivere", l'ultimo degli incontri di Economia e società aperta, il forum internazionale di Corriere della sera e Bocconi.
Rifacendosi alle posizioni dello storico Charles Kindleberger, Panebianco ha notato che, da fine Ottocento in poi, i periodi di espansione economica e di globalizzazione hanno sempre visto la presenza di un egemone liberale, ovvero un paese leader dal punto di vista economico e geopolitico, pervaso da un'ideologia liberale. Quando questa leadership è mancata, tra le due guerre mondiali, ne ha sofferto anche la democrazia. "Ebbene", ha affermato Panebianco, "dalla crisi potrebbe emergere un mondo senza egemone liberale se gli Stati uniti, per problemi economici o per volontà, vi rinunciassero". Per l'Europa, che è ancora un consumatore dei servizi di sicurezza offerti dagli Stati Uniti, ciò potrebbe tradursi in incapacità di fare fronte ad eventuali sviluppi negativi in Medio oriente e minore potere di contrattazione energetica con la Russia. Domenico Siniscalco, vice chairman e managing director di Morgan Stanley international, nella veste di discussant, ha evidenziato gli squilibri che hanno innescato la crisi (troppo consumo negli Usa e troppo risparmio in Asia, pochi investimenti e crescita in Europa, troppa finanza e troppo poca industria in paesi quali Regno Unito, Irlanda e Spagna), sostenendo però che si stanno almeno parzialmente risolvendo. Ha messo in guardia rispetto alle possibilità di prossime bolle causate dall'enorme liquidità messa in circolo per contrastare la crisi.Le preoccupazioni maggiori sono state quelle espresse dal direttore del Corriere della sera, Ferruccio de Bortoli, che si è detto convinto che la classe dirigente non abbia imparato nulla dalla crisi. "Non vedo grandi cambiamenti nell'approccio delle banche d'affari e delle agenzie di rating, non mi pare ci sia stata grande sanzione morale e reputazionale e i salvataggi hanno premiato chi si era comportato peggio nell'assunzione dei rischi. Eppure, dalla manutenzione culturale dell'economia del paese dipende anche la qualità della democrazia".
L'incontro è stato aperto da Severino Salvemini, ordinario di organizzazione alla Bocconi, che ha sistematizzato il percorso dei primi tre incontri, e concluso dal rettore, Guido Tabellini, che nel paragonare questa crisi, come intensità, a quella del '29 e alla grande inflazione degli anni '70, ha sostenuto però che non ne deriveranno rivoluzioni altrettanto comprensivi per la storia del pensiero economico. "Il vero rischio", ha concluso, "sarebbe quello di pensare di essere già fuori dalla crisi, sottovalutando i futuri problemi di gestione del debito pubblico e della liquidità immessa dalle banche centrali".