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Da una cattiva teoria una brutta crisi

, di Fabio Todesco
Roberto Artoni, in una short note di Econpubblica, esplora le radici culturali della recessione che stiamo attraversando. Con una critica alle politiche americane a forte gradazione ideologica

"L'irresponsabilità complessiva delle politiche americane, derivata anche da una teoria economica irrealistica e ideologica al tempo stesso, ha prodotto la crisi attuale", scrive Roberto Artoni in La cultura economica e la crisi, l'ultima short note pubblicata da Econpubblica, il Center for research on the public sector della Bocconi.

Artoni, ordinario di scienza delle finanze, chiama in causa il modello di teoria e di politica economica dominante negli ultimi 25 anni e la "fortissima fiducia nella capacità di autoregolamentazione dei mercati" che ne sta alla base. Tale modello è definito microfondato perché prevede l'aggregazione dei comportamenti microeconomici di agenti quali i consumatori, i lavoratori e i titolari di fattori produttivi, che "massimizzano la propria funzione di utilità su un orizzonte infinito in mercati perfettamente concorrenziali e in un contesto di previsione perfetta o di aspettative razionali". Tale aggregazione, sostiene Artoni, è però tecnicamente problematica e gli economisti la ottengono soltanto a costo di "semplificazioni non innocue".

In un contesto teorico che esclude ogni problema di domanda aggregata, "le politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro trovano sostanziale giustificazione teorica e piena legittimazione applicativa", con la conseguenza, però, di una forte concentrazione della distribuzione funzionale e personale del reddito. "Alla stagnazione dei salari", scrive ancora Artoni, "corrisponde una modesta crescita della domanda e quindi del prodotto", soprattutto nei paesi come l'Italia, in cui la rigidità del mercato del lavoro è stata combattuta con più determinazione.

Al rallentamento sono sfuggiti soltanto i paesi, come gli Stati Uniti, che hanno compensato la stagnazione dei salari con l'indebitamento delle famiglie. "Fra il 1980 e il 2005", evidenzia Artoni, "per le famiglie statunitensi il rapporto tra l'ammontare del credito al consumo e la mediana del reddito è passato dal 3 al 13%, il debito ipotecario dal 57 al 156%".

Una situazione del genere, andata "al di là del ragionevole", non è stata tenuta sotto controllo: "In un sistema liberista l'unico possibile fattore di squilibrio o di disordine può venire dall'azione dell'operato pubblico" ed è perciò il bilancio pubblico a essere monitorato e tagliato, a favore di un sistema assicurativo privato anche in fatto di sanità e istruzione, che appesantisce ancora di più i conti dei privati cittadini.

Le autorità americane, fino a pochi mesi fa, hanno potuto espandere la domanda interna anche grazie a un disavanzo di parte corrente che ha raggiunto il 5% del pil, sostenibile solo in una situazione di "dollar standard", in cui il dollaro americano aveva sostanzialmente sostituito l'oro come riferimento e garanzia di ogni altra grandezza finanziaria.

Quando il sistema ha mostrato il fianco è scoppiata una crisi dapprima finanziaria e americana, ma presto estesasi al versante reale e al mondo intero.

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