Come far funzionare una collaborazione di ricerca
Le collaborazioni di ricerca interorganizzative sono ormai una realtà comune in molti settori. Ma pur essendo di solito considerate possibili fonti di vantaggio competitivo, la possibilità di un fallimento è sempre dietro l'angolo. Quando le cose vanno male, spesso ad essere incolpati sono i limiti intrinseci dei contratti di ricerca e sviluppo, ma anche alcune specifiche scelte di governance potrebbero avere una loro importanza.
Recenti risultati mostrano, in effetti, come specifiche combinazioni di diritti di proprietà e controllo sull'innovazione giochino un ruolo chiave nel determinare l'esito di una collaborazione di ricerca. In un articolo intitolato On the Contractual Governance of Research Collaborations: Allocating Control and Intellectual Property Rights in the Shadow of Potential Termination, recentemente apparso su Research Policy (2011, Vol. 40, pp. 1403-1411, doi: 10.1016/j.respol.2011.06.012), Claudio Panico, assistant professor presso il Dipartimento di Management e Tecnologia dell'Università Bocconi, affronta la questione tramite lo studio di un caso emblematico: le alleanze tra grandi compagnie farmaceutiche e piccole aziende biotech. Mentre le prime hanno in genere considerevoli disponibilità finanziarie e sono spesso in cerca di nuove opportunità scientifiche su cui investire, le seconde hanno fondi e dotazioni limitati. La formazione dell'alleanza si conclude in genere con la stesura di un contratto estremamente complesso che include licenze, compensi economici e soprattutto una combinazione ben delineata di diritti di proprietà e controllo sull'innovazione.
Per tenere conto di queste specificità, l'autore sviluppa un modello in cui una grande compagnia farmaceutica contratta con una piccola azienda biotech. Il contratto di ricerca specifica la parte dei diritti di proprietà, la parte dei diritti di controllo e il compenso che dovranno essere corrisposti all'azienda biotech. L'esito (in termini di innovazioni sviluppate e loro valore) è incerto, e la compagnia farmaceutica non può osservare gli effettivi sforzi di ricerca fatti dalla biotech al fine di conseguire il risultato. La compagnia farmaceutica deve quindi essere in grado di concepire un contratto che massimizzi i propri profitti incentivando al contempo il partner di ricerca a dare il massimo per il progetto. A seconda della quota di diritti di proprietà concessi e delle alternative a disposizione di ambo le parti, le collaborazioni possono risultare stabili, potenzialmente stabili (cioè stabilizzabili) o intrinsecamente instabili.
Se la compagnia farmaceutica si aspetta che la collaborazione continui in ogni caso, il modello mostra che essa tenderà a mantenere per sé tutti i diritti di proprietà. Viceversa, laddove esiste un rischio di rottura, i diritti di proprietà verranno condivisi con la biotech al fine di stabilizzare la relazione. Se infine la stabilizzazione risulta impossibile, la compagnia farmaceutica sceglierà una modalità di governance mista che però massimizza le probabilità di rottura. I risultati ottenuti rinforzano il legame fra le scelte contrattuali e la stabilità della collaborazione di ricerca, facendo nuova luce sul ruolo di proprietà e controllo nella creazione di nuovi contratti.