Chi ha paura dell'immigrato? Per l'integrazione la cultura val piu' della forza
Presidente del Tribunale di Milano dal 2007 e in precedenza, per 14 anni, presidente del Tribunale per i minorenni della stessa città, Livia Pomodoro è un magistrato che ha sempre dimostrato una spiccata sensibilità per i temi sociali. Il che ne fa l'interlocutore ideale per un dialogo con Francesco Daveri, l'economista dell'Università di Parma e della Sda Bocconi che si è recentemente cimentato in un lavoro di analisi sull'immigrazione (Stranieri in casa nostra. Immigrati e italiani tra lavoro e legalità, Università Bocconi editore, 2010, 192 pagine, 20 euro), intrapreso con l'intento dichiarato di "dare un contributo a colmare i tanti divari di percezione e di informazione che oggi esistono nella società italiana sulla presenza degli stranieri. Per superare lo schema delle due Italie che non si parlano e non si capiscono e magari si odiano, che quasi omettono di vedere le cose che non piacciono per continuare a sostenere senza tentennamenti la propria posizione buonista o cattivista verso gli immigrati".
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Livia Pomodoro e Francesco Daveri |
È inutile girarci intorno: il problema dei problemi, quando si parla di immigrazione, è la relazione con la criminalità. Questa relazione esiste davvero? FRANCESCO DAVERI La relazione non è tanto con l'immigrazione, quanto con l'immigrazione clandestina e caotica. I dati suggeriscono che, fintanto che i ritmi di immigrazione sono stati sostenibili e il fenomeno della clandestinità limitato, gli stranieri commettevano reati all'incirca nelle stesse proporzioni degli italiani. Negli ultimi anni, invece, le cose sono cambiate, perché è la marginalità collegata alla condizione di clandestino a favorire i comportamenti criminosi. LIVIA POMODORO È da molti anni che si discute dell'equazione stranieri uguale delinquenti, ma non è mai stata provata. Non mi pare giusto impostare così la discussione, perché è vero che molti reati sono commessi da stranieri, ma ci sono altrettanti crimini commessi da italiani. Piuttosto, si deve evidenziare che, nel caso degli stranieri, si tratta molto spesso di crimini legati alle condizioni socio-economiche difficili in cui si trovano a versare. In altri casi sono solo i terminali di attività criminose internazionali, come il traffico di stupefacenti. L'equazione, ad ogni modo, rimane un po' grossolana, per la maggior parte anche gli stranieri, come gli italiani, sono onesti... DAVERI Soprattutto quando sono integrati. Un dato interessante è che gli stranieri che arrivano a frequentare le scuole superiori non delinquono più dei pari età italiani.
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POMODORO Sì, l'integrazione è importante, ma a volte ci troviamo di fronte a un eccesso di integrazione, che spinge gli stranieri a imitare le abitudini delinquenziali delle società opulente, che possono paradossalmente diventare anche esempi di criminalità. Penso, per esempio, ai ragazzi di seconda generazione che commettono atti di bullismo, di vandalismo o ancora violenza di gruppo. L'integrazione sul piano del crimine a volte è più facile che sul piano delle virtù. E' importante rendersi conto che i problemi legati all'immigrazione non sono un'emergenza passeggera, ma una lunga deriva, la cui evoluzione dipenderà più da condizioni globali che locali. Ed è una situazione che cambia: siamo abituati a pensare al Mediterraneo come frontiera porosa, ma l'entrata avviene anche dagli aeroporti, con visti turistici, o dalle frontiere terrestri del nordest attraverso i paesi dell'area Schengen. Ma se è vero che gli immigrati non sono tutti uguali, non avete la sensazione che l'Italia non attiri solo i migliori? DAVERI Alcuni dati dell'Ocse confermano questa impressione. A parità di nazionalità, sesso, età, risulta che chi viene in Italia è sistematicamente diverso da chi va in Germania o in Spagna in termini, per esempio, di istruzione o professionalità. E se questo può risultare comprensibile nel confronto con un paese come la Germania, che ha una struttura economica diversa dalla nostra, non è invece facile da capire per la Spagna. Se gli immigrati che vengono da noi delinquono e quelli che vanno in altri paesi lo fanno con minore frequenza, questo ci segnala che c'è qualcosa nelle nostre regole, nelle nostre istituzioni, nel nostro modo di stare insieme che attira da noi proprio questo tipo di persone e non altre. Un marocchino potenziale delinquente preferisce venire in Italia piuttosto che andare in Svizzera o in Spagna dove, se colto a commettere un reato, andrebbe incontro a conseguenze penali più gravi. Ma la strada da prendere per cambiare le cose e per sentirci a nostro agio a casa nostra è quella del recupero del rispetto della legge, che vuole anche dire combattere le informalità, di cui si dice gli italiani siano maestri, nelle sue forme deteriori. POMODORO Non conosco questi dati e ritengo ci voglia cautela, anche perché è difficile raccogliere informazioni affidabili sui clandestini. È vero che il nostro paese è meno complesso di altri per chi vive di comportamenti al limite del legale e che il nostro sistema giudiziario è meno incisivo di altri, ma non so dire se questo influenzi le scelte migratorie. Forse da noi la condizione di clandestino è più sostenibile che altrove.
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DAVERI Me negli ultimi mesi c'è stato un giro di vite... POMODORO Ci sono però altri aspetti che qualificano l'azione giudiziaria nei confronti degli stranieri: a Milano abbiamo apportato importanti novità in Tribunale per i procedimenti per direttissima grazie ad accordi con Asl e Comune, area per gli adulti in difficoltà, italiani o stranieri, purché non clandestini. Cerchiamo di agganciarli al sistema perché non recidivino. La recente introduzione del reato di clandestinità ha avuto conseguenze significative sulle attività degli uffici giudiziari? POMODORO Non ho dati aggiornati sul punto. Ma mi preme sottolineare che la relazione con gli stranieri non può e non deve essere demandata in toto all'autorità giudiziaria, e il tema principale sul quale dobbiamo soffermarci non deve essere quello della paura e dell'insicurezza. È un problema sociale ed è un fenomeno destinato a proseguire negli anni; i nostri figli potrebbero soffrirne più ancora di noi. E, ad ogni modo, serve la collaborazione di tutta l'Europa: l'Italia è, molto spesso, la prima frontiera ma non può essere lasciata sola. In casa nostra, poi, mancano la cultura dell'integrazione e dell'accettazione della diversità. DAVERI L'espressione "stranieri in casa nostra" ha anche un significato che non si riferisce ai nati fuori Italia ma a noi italiani che, per varie ragioni - politiche, sociali, di costume – spesso ci sentiamo stranieri in casa nostra: quando il nostro vicino di ufficio fa una carriera più rapida della nostra senza aver fatto quello che deve per meritarlo, quando i nostri figli fanno fatica a trovare un posto di lavoro nonostante abbiano fatto del loro meglio a scuola o all'università, quando abbiamo difficoltà a ottenere il certificato di cui abbiamo bisogno in un ufficio pubblico, quando rinunciamo a far valere le nostre ragioni in una causa civile perché sappiamo che ci vuole troppo tempo. Credo che i due significati siano legati e l'ambiguità del titolo del mio libro non vuole essere solo un gioco di parole. È proprio quello che ci fa sentire stranieri, cioè estranei, in casa nostra: l'abitudine all'informalità e all'ingiustizia, se non proprio l'allergia verso la legalità, che porta nella nostra casa estranei da cui difendersi o di cui avere paura anziché persone nate in un altro paese che vengono da noi a cercare fortuna e lavoro. POMODORO In questo caso non siamo solo stranieri in casa nostra, ma cittadini dimezzati, che non hanno neppure il coraggio di esprimere il proprio dissenso. Penso che gli italiani siano un popolo generoso, lavoratore, serio, ma l'impatto dell'immigrazione è recente, ci manca una cultura specifica e, anche in questo campo, tendiamo a non bilanciare diritti e doveri, nel senso che siamo pronti a rivendicare gli uni, dimenticandoci degli altri. E ripeto, non è un problema giudiziario, c'è qualcosa che non funziona nelle condizioni alle quali accogliamo gli stranieri. Altrimenti non si capirebbe perché anche chi lavora viene discriminato per esempio nella ricerca di una casa in affitto, o la trova a condizioni insostenibili.
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I cittadini sono sempre sgradevolmente colpiti dalla macchinosità e inefficienza della procedura di espulsione dei clandestini. Sembrano esse procedure lunghe, costose, e che non portano al risultato che si propongono. DAVERI A giudicare dai dati a pochi mesi dall'introduzione del reato di clandestinità quella dell'espulsione sembra davvero una pallida eventualità e, quando ciò avvenga, i costi sono alti. Il meccanismo degli avvocati d'ufficio per i non abbienti può incentivare alla prosecuzione delle cause in secondo e terzo grado anche quando i clandestini si siano resi irreperibili. Un calcolo di massima stima in alcune centinaia di euro a procedimento il costo per la collettività, con l'aggravante che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di procedimenti che non hanno alcun effetto pratico. Ma si deve anche sottolineare che nessun paese, da questo punto di vista, ha raggiunto risultati apprezzabili, neppure la Germania di cui si loda tanto il programma di "lavoratori ospiti". Un mito difficile da sradicare è quello dello straniero moplen, il materiale la cui pubblicità, negli anni Settanta, diceva che era "comodo, resistente e non deforma le tasche"; e così c'è una pronta levata di scudi quando, per esempio, i figli degli immigrati accedono agli asili nido scalzando i figli degli italiani. Ma qui il problema è di politiche sociali, è il fatto che i posti disponibili negli asili nido siano così pochi. Fatto sta che l'utilizzo del welfare da parte degli stranieri è fonte di polemica. POMODORO D'altra parte c'è anche il rifiuto degli italiani di frequentare scuole con troppi stranieri. È vero che le politiche sociali non sono ottimali, ma integrazione non significa solo pari opportunità di lavoro e welfare, ma un fatto culturale, un percorso lungo di compresenza nella società ed esige attenzione umana, disponibilità strutturale e volontà politica. L'immigrazione è anche un'opportunità economica: gli italiani, per esempio, non tengono più in alta considerazione arti e mestieri e stanno perdendo tradizionali abilità artigianali, che invece gli stranieri hanno ancora. Ma, tornando alla criminalità, si può dire che il recente calo sia dovuto alla stretta sull'immigrazione clandestina? DAVERI Questa è una tesi che ho visto sostenere spesso da fonti governative, ma i dati non sono del tutto convincenti. È vero che, tra il 2005 e il 2007, i reati di strada sono aumentati e che, tra il 2007 e il 2009, sono diminuiti, ma hanno cominciato a calare un po' troppo presto per essere conseguenza della stretta. Piuttosto, penso che abbia avuto un ruolo l'indulto del 2006, che ha portato a un immediato aumento dei reati, effetto che è andato attenuandosi a mano a mano che i recidivi tornavano in carcere.
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POMODORO È un tesi sostenibile. Ma i dati resi noti in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari indicano una criminalità in costante, leggerissima ascesa, che si determina anche per motivi indipendenti dall'immigrazione e gli effetti dell'indulto sono stati meno significativi di quanto si temesse. DAVERI Ma perché in Italia non si costruiscono nuove carceri? POMODORO Un piano carceri è stato annunciato più volte, ma la materia è complessa: non bastano gli edifici, le carceri vanno poi gestite e per questo servono nuovi agenti. I sistemi più avanzati prevedono meno personale, ma un carcere deve comunque essere gestito in modo adeguato. Altri problemi sono le risorse e la gestione del territorio anch'essi finalizzati a interagire con il sistema carcerario. Il carcere potrebbe essere rimodulato, in unità più piccole, più diffuse nel territorio e collegate agli uffici giudiziari. Anche a Milano è difficile pensare a una sostituzione di S. Vittore con soluzioni fisicamente distanti dalla cittadella della giustizia. Un buon piano carceri dovrebbe prevederne poi di diverse categorie, per favorire la rieducazione, e poggiare comunque su un più ampio uso di misure alternative. Noi abbiamo fatto delle sperimentazioni in questo senso, con l'aiuto dei servizi sociali e degli enti locali. Sono convinta che una buona amministrazione della giustizia si regga su un buon rapporto con il territorio, oltre che in relazione alle questioni che riguardano gli immigrati, anche con riferimento a quelle proprie del circuito carcerario. In conclusione, qualche idea per favorire l'integrazione. DAVERI Ritengo importante il fattore culturale e molto, allora, può dipendere dalla conoscenza dell'italiano, che deve essere insegnato subito ai minori, ma che non può essere considerato una barriera per gli adulti, soprattutto se impiegati in ambiti in cui non è strettamente necessario. Ma anche nella gestione dei minori il rapporto con il territorio è fondamentale e nelle grandi città tutto diventa più difficile. POMODORO Tempo fa tenevo un corso di legislazione sociale alla Cattolica, che si concludeva con la presentazione di una tesina. Ricordo che un mio allievo studiò il rapporto tra una chiesa cattolica e il territorio nella Chinatown milanese. Quando il parroco, sulla base di una interlocuzione tra i cinesi di seconda generazione che frequentavano l'oratorio, scoprì che la loro esigenza fondamentale era imparare il cinese, quella parrocchia organizzò corsi di cinese per fare in modo che quei ragazzi potessero sentirsi integrati in Italia, ma senza dimenticare le loro origini. L'integrazione non è mai a senso unico.