Caro Babbo Natale vorrei...
Cosa vorrei trovare sotto l'albero di questo Natale 2010? Nella mia prospettiva di giurista che si occupa del mondo del lavoro, più che a Babbo Natale, preferirei rivolgere una richiesta ciascuno a cinque ideali interlocutori, che sono e saranno protagonisti indiscussi anche nell'anno a venire: il legislatore, il governo, le forze sociali (imprenditori e sindacato), nonché il mondo della cultura, accademica e non.
Al nostro legislatore vorrei chiedere di astenersi rigorosamente dal fare, o anche solo dal minacciare, grandi riforme epocali: ne abbiamo avute anche troppe in questi ultimi tempi e di tutto sentiamo il bisogno tranne che dell'ennesima ridefinizione delle regole del mercato del lavoro. Al governo chiederei di tornare a fare il proprio mestiere che, con specifico riferimento a queste questioni, è quello di farsi promotore di una politica industriale coerente con le esigenze di sostegno alla concorrenza internazionale, sia sul piano delle politiche fiscali, sia su quello dell'incentivazione alla ricerca e allo sviluppo. In particolare, poi, gli chiederei di astenersi rigorosamente dal fare quello che ha fatto in questo ultimo decennio, contraddicendo pesantemente una scelta strategica fondamentale di tutti i governi di destra, di centro e di centro-sinistra che hanno retto le sorti di questo paese dagli anni'60 alla fine del secolo appena conclusosi: giocare ambiguamente sulle divisioni del mondo sindacale, rifiutandosi peraltro, programmaticamente, di farsi promotore di regole idonee a misurare la capacità rappresentativa delle diverse organizzazioni sindacali del nostro paese. Agli imprenditori raccomanderei di non enfatizzare una questione, il costo del lavoro, che occupa in realtà una percentuale infima dei reali problemi del nostro sistema produttivo, concentrandosi invece sulla questione di una piena ed efficiente utilizzazione degli impianti: senza mai dimenticare come il lavoro subordinato (quello classico e sul quale si è per anni esercitata la retorica di un suo inevitabile superamento) sia ancor oggi lo strumento giuridico più efficace e funzionalmente flessibile di organizzazione dell'impresa manifatturiera. Al movimento sindacale chiederei un difficile sforzo unitario nella ricerca di condivise modalità di misurazione dei rispettivi rapporti di forza: tutto ciò nella consapevolezza del fatto che la scelta "privatistica" che ha informato lo sviluppo del modello di relazioni industriali di questi cinquant'anni ha retto alle ricorrenti tensioni politiche e sociali solo grazie al permanere di una solidarietà di fondo, interna al movimento operaio, che non è mai venuta meno e che appare invece oggi in una crisi serissima. Last, but not least, agli intellettuali vorrei rivolgere un invito particolarmente sentito: rinunciamo, una volta per tutte, alle parole d'ordine prive di reale contenuto sostanziale (flexsecurity, contratto unico, ecc.) piuttosto che a sterili esercizi di trasposizione di modelli normativi "impossibili" e fuorvianti (ieri l'Irlanda, oggi la Danimarca, domani chissà) e torniamo a fare il nostro vero mestiere, che è quello di "studiare, studiare, studiare". Per cercare di capire seriamente, e a fondo, le dinamiche economico-sociali della globalizzazione e le ragioni profonde di certi comportamenti dei suoi attori.