
Asimmetrie che frenano l’innovazione
Basato sull’impiego di piattaforme online per l’incontro idealmente diretto tra domanda e offerta di fondi, il finanziamento digitale ridefinisce i tradizionali rapporti di credito tra richiedenti fondi e intermediari bancari e finanziari, ridimensionando il ruolo di questi ultimi. Il carattere diversamente disintermediato del lending-based crowdfunding, dell’invoice trading e del cryptolending rende il finanziamento più flessibile, efficiente e accessibile, ed è alla base del consolidamento, in tutta la UE, di gestori specializzati di piattaforme di lending operanti sulla base di diversi modelli di business. A causa della divergente disciplina nazionale di riferimento, l’attività delle piattaforme di lending è tuttavia soggetta, nei diversi paesi della UE, a regole tutt’altro che uniformi. I più recenti provvedimenti legislativi dell’UE in materia, pur avendo introdotto un quadro normativo armonizzato per il finanziamento digitale, non sono infatti omnicomprensivi e non hanno quindi superato la necessità, a seconda del modello di business in concreto adottato, di applicazione anche delle previsioni dettate assetti normativi nazionali volta a volta rilevanti, tra loro molto disomogenei, con l’effetto che arbitraggi normativi all’interno dell’Unione restano tutt’ora possibili e che un vero level-playing field per tutti gli operatori europei non è ancora realizzato.
Le incertezze derivanti dall’assenza di una unitaria disciplina europea sono particolarmente evidenti nel caso del crowdlending nel segmento consumer e del cryptolending.
Il crowdlending finanzia collettivamente progetti personali o imprenditoriali tramite portali di matching, con obbligo di rimborso e corresponsione di interessi in capo al prenditore dei fondi: le decisioni di finanziamento e i rischi finanziari sono decentralizzati in quanto la piattaforma svolge una funzione di mera intermediazione nella concessione del prestito senza assunzione del rischio di credito. Il regolamento UE sui provider di servizi di crowdfunding (reg. 2020/1503/UE, ECSP), che assoggetta il provider a autorizzazione e vigilanza, a requisiti prudenziali, obblighi organizzativi e operativi, di condotta e informazione, e che prevede norme di tutela dei finanziatori dei progetti, si applica tuttavia solo al business lending. Il consumer lending resta così soggetto, in Italia, alle frammentarie e disorganiche disposizioni sulla raccolta non bancaria del risparmio (del. Banca d’Italia 584/2016) che, per evitare lo sconfinamento, da parte del gestore della piattaforma o degli utenti, nelle riserve di legge previste per le banche e per altri intermediari finanziari (raccolta del risparmio presso il pubblico e concessione di finanziamenti), detta criteri, di personalizzazione delle trattative tra finanziatori e prenditori, e di utilizzo di conti di pagamento separati in forza di un’autorizzazione alla prestazione di servizi di pagamento, scarsamente funzionali all’attività e comunque insoddisfacenti perché lasciano scoperti, sul piano della tutela degli utenti, altri profili caratterizzanti del servizio, dalla valutazione del merito creditizio dei prenditori e del grado di propensione al rischio dei prestatori, all’informazione sui rischi del prestito e sulle conseguenze dell’inadempimento.
La disciplina ECSP non è peraltro sufficiente a coprire interamente nemmeno il business lending. Alcuni servizi spesso connessi, nella prassi, a quello di mera intermediazione (scoring, custodia fondi, gestione dei flussi) non sono infatti oggetto del regolamento, sicché per essi si applica la disciplina nazionale volta a volta rilevante.
Anche più insoddisfacente è poi lo status quo relativo al cryptolending, che impiega criptovalute come oggetto (a fronte di interessi) o come garanzia di prestiti (in valuta fiat o in altre criptovalute), oggi prevalentemente realizzato da piattaforme centralizzate (CeFi). I problemi di inquadramento giuridico e di disciplina del cryptolending sono notevoli, e non sono affatto risolti dal reg. ECSP, dal quale il cryptolending esula del tutto perché le criptovalute non integrano la nozione rilevante di prestito, né dal regolamento 2023/1114/UE relativo ai mercati per le criptoattività (MiCA), in quanto il cryptolending non è riconducibile ad alcuno dei servizi per le criptoattività in esso contemplati e il cui svolgimento presuppone un’autorizzazione preventiva. La circostanza che taluni operatori di cryptolending siano comunque destinati a essere assoggettati al regime MiCA – e ciò, in ragione della prestazione da parte loro di servizi ulteriori, funzionali o complementari al lending, di per sé integranti l’uno o l’altro dei servizi per le criptoattività oggetto del regolamento (ad es. gestione di una piattaforma di negoziazione di criptotattività) – non è che una risposta incidentale all’irrisolto problema dell’assenza di una disciplina specifica e adeguata del cryptolending.