Banche centrali e crisi, un rivolgimento anche per la teoria
Gli interventi dell'ultimo anno e mezzo delle banche centrali per contrastare la crisi finanziaria si sono dimostrati efficaci per evitare il baratro, anche se non sono ancora riusciti a ripristinare un efficace funzionamento dei mercati e su di essi pende la spada di Damocle della strategia d'uscita, ovvero di un ritorno alla normalità che sappia evitare fiammate inflazionistiche.
A provare una prima analisi del comportamento di Fed e Bce è Angelo Porta del Centro Paolo Baffi sulle banche centrali e sulla regolamentazione finanziaria della Bocconi in Central banks and financial crisis. A first assessment of the tools used for interventions (Paolo Baffi centre research paper series no. 2009-43), output preliminare di un progetto di ricerca che riguarda anche le banche centrali britannica e svizzera.
Porta osserva, in primo luogo, il comportamento di Fed e Bce quali prestatori di ultima istanza, confrontandolo con la teoria dominante che, per evitare atteggiamenti di azzardo morale, prescriveva che tali prestiti fossero disponibili solo alle banche, solo in caso di problemi temporanei di liquidità, a tassi d'interesse penalizzanti e a fronte di garanzie adeguate. Ebbene, sostiene Porta, nei momenti di emergenza le banche centrali hanno disobbedito a tutti questi precetti, rendendo inevitabile, per il futuro, un profondo ripensamento della teoria.
Le banche centrali americana ed europea si sono allontanate dalle routine consolidate anche quando hanno dovuto garantire a un sistema ingrippato la liquidità necessaria ai pagamenti, inventandosi nuove forme d'intervento e finendo per far lievitare il proprio bilancio come non era mai successo in precedenza. Alla fine del 2008 l'attivo della Banca d'Inghilterra era 2,78 volte maggiore che alla fine del 2006, quello della Fed si era moltiplicato per 2,56, quello della Banca nazionale svizzera per 1,92 e quello della Bce per 1,77. Porta nota che gli interventi della Bce, oltre che quantitativamente minori, sono stati meglio distribuiti rispetto a quelli della Fed: la banca europea ha cominciato ad agire già nell'estate del 2007, mentre quella americana ha reagito soprattutto al fallimento di Lehman Brothers, nel settembre 2008.
La scala degli interventi delle banche centrali non sembra ancora essersi ridimensionata, facendo presagire difficoltà di uscita per il futuro. Oggi la Fed pare più soggetta a tali difficoltà rispetto alla Bce, tanto che, sottolinea Porta, "una soluzione finale ai problemi del sistema finanziario americano è al di là dei poteri della Fed ed è piuttosto nelle mani delle autorità fiscali".