150 giovani per i 150 anni della nostra storia
Centocinquanta e più, praticamente come gli anni dell'Unità. E per la maggior parte ragazzi e studenti, come i Mazzini o i Mameli che ancora ventenni hanno immaginato l'Italia al suo nascere. O come 400 dei 1.089 partiti da Quarto, che arrivavano dalle università del Granducato di Toscana. In 150 hanno seguito ieri l'incontro che si è tenuto in Bocconi e che proprio ai ragazzi era dedicato, volendo capire, grazie all'aiuto di Giuliano Amato e Paolo Peluffo, autori di Alfabeto Italiano. Fatti e persone di una storia al presente, come vede il nostro passato chi ha meno di 25 anni. Un incontro che non solo era diretto ai giovani, ma proprio dai giovani è stato organizzato, su iniziativa dei rappresentanti degli studenti e con la collaborazione di Radio Bocconi, BStudents tv e Tra i leoni, i tre media che compongono lo Student media center.
Una voglia di capire il ruolo dei giovani nella nostra storia di oggi rispetto a quella dello scorso secolo e mezzo che negli studenti bocconiani ha preso forma in più modi: attraverso un lungo editoriale dedicato al 150° su Tra i leoni e diffuso durante l'evento, un video realizzato da BStudents tv, le interviste a Giuliano Amato da parte di tutte e tre le testate (che saranno diffuse nei prossimi giorni) e, infine, con le diverse domande che sono state rivolte ai due autori del volume. Ma anche attraverso le parole di Antonio Aloisi, rappresentante degli studenti in cda. Che sprona se stesso e la sua generazione a riappropriarsi del futuro, dei prossimi 150 anni: "Quando la barca è ferma nella bonaccia", dice, "deve soffiare chi ha i polmoni più forti, ossia noi giovani". E cita il premier norvegese all'indomani della strage di Utoya e il presidente Napolitano, i quali, entrambi, hanno invitato i ragazzi a dedicarsi al loro paese, a essere coinvolti, a pronunciare un sì pieno alla democrazia. "Insomma", dice Aloisi, "un'irruzione non violenta, pacata, intelligente in quei posti dove si prendono le decisioni". Alfabeto Italiano, d'altronde, con i suoi 70 lemmi e nel suo modo di raccontare la storia attraverso episodi magari non conosciuti, "come la balbuzie di Manzoni o la sua avversione per la scrittura, o ancora la depressione che colpì Abba", spiega Giuliano Amato, ha un forte richiamo alla giovinezza di chi ha fatto l'Italia. "Mameli aveva 19 anni anni quando ha scritto l'inno e 25 quando è morto; Mazzini 25 anni e Menotti meno di 30; Garibaldi era trentenne quando diventò l'eroe dei due mondi e Cavour aveva l'età che ha oggi Enrico Letta. Ci fu una chiamata dei giovani a fare l'Italia", commenta l'autore, "perché le vecchie generazioni erano incapaci di farlo, schiave com'erano delle abitudini e delle costrizioni". Oggi non c'è più bisogno di chiedere ai giovani il sacrificio eroico del Risorgimento, lo sprezzo della morte: "La giovane Italia di cui abbiamo bisogno oggi", dice Amato, "è quella descritta da Emilio Gentile, ovvero capire che il mito della nazione sopravvive solo se possiede istituzioni comuni nelle quali ci si identifica e nelle quali siano soddisfatti i bisogni". E, aggiunge Peluffo tornando alle motivazioni che li hanno spinti a scrivere il volume, "l'Italia è cosparsa da una quantità incredibile di informazioni che si stanno perdendo. Non solo, la storia è scritta male sui grandi personaggi, ma lo è ancor di più sui piccoli". Ma allora, alla luce della nostra storia, alla creazione dell'Unità è corrisposta un'uguale creazione degli italiani, si chiedono i ragazzi tra il pubblico? Un tema caldo, sul quale però Amato ha una visione diversa, ricordando le tante dominazioni e le mescolanze culturali che ci hanno contraddistinto: "Non abbiamo mai fatto nostra una visione 'etnica' di italianità. Gli italiani hanno accettato di essere figli di tutti e tutti questi sono gli italiani. Se vogliamo l'Italia degli italiani, allora quegli italiani siamo noi tutti; se non la vogliamo, ci ritrasformiamo in fenici o celtici". "E c'è chi", scherza, "lo fa cercando le radici celtiche sul Po". E su ciò che può spingere i ragazzi, oggi, a impegnarsi per un futuro diverso, aggiunge: "Abbiamo bisogno di ritrovare un 'noi' che si sta disperdendo in una miriade di 'io'. Un 'noi' che abbia valenza morale e non solo corporativa. Voi ragazzi siete adatti a farlo perché avete un fortissimo sentimento di solidarietà generazionale". Gli italiani, commentano gli studenti in sala, si vergognano spesso di sé all'estero. "Non sono convinto che ci sia un reale disagio", spiega Peluffo. "Più che di un disagio identitario, si tratta della frustrazione di non veder vissuta la propria identità. Nessuno si aspettava un tale successo dei festeggiamenti per il 150°, tuttavia il coinvolgimento è stato amplissimo. Piuttosto, oggi è più l'insoddisfazione per ciò che rappresenta l'azione collettiva". "Oggi", conclude Amato, "per andare dietro a un partito che vuole l'Italia divisa, siamo andati dietro a una cosa che non si sa cosa sia. E, contemporaneamente, seguendo questo federalismo stiamo andando verso un fortissimo centralismo".