Usa, Europa e Giappone, tre modelli diversi
La seconda rivoluzione industriale ha occupato una fase considerevole nella storia dei paesi più avanzati, dai suoi albori negli Usa alla fine del secolo XIX ai successi più recenti di paesi come la Corea del Sud. Nel drammatico rimescolamento di carte che tale grande trasformazione apportava, un posto di rilievo ha avuto la trasformazione nei modelli con cui il fattore lavoro era coinvolto nell'architettura produttiva.
Le modalità di coinvolgimento del fattore lavoro nell'ambito della corporate life sono un esempio della multiformità nei modelli di capitalismo generati dall'espansione su scala globale. Anche se è artificioso isolare tale elemento da altri, vale la pena di utilizzarlo in forma esemplificativa almeno di tre grandi paradigmi sovranazionali.Il primo è quello costituito dal caso statunitense, ove le modalità di relazione tra lavoro e complesso produttivo risentono da un lato del pieno dispiegarsi delle potenzialità delle nuove tecnologie, dall'altro del nascere di burocrazie complesse e articolate di grande e grandissima dimensione. Il modello di lavoro che emerge è quello al centro della caricatura di Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Si tratta di un blue collar che beneficia dei vantaggi economici e in termini di benessere del nuovo modello capitalistico in cambio di una partecipazione docile a un sistema produttivo e organizzativo in cui il fattore umano finisce per scomparire di fronte all'imponenza dell'organizzazione. È un modello di lavoro carico di tensioni e disumanità, ma perfettamente funzionale all'affermazione di un modello produttivo imperniato sul consumo di massa di beni standardizzati (soprattutto da parte dei medesimi lavoratori). Un modello che caratterizzerà il capitalismo statunitense nella sua fase di maggior affermazione, tra fine XIX secolo e anni Settanta del Novecento.Si oppone per molti versi a questo il "modello europeo". Qui, l'eredità di un passato caratterizzato da una tradizione artigianale e corporativa, un'intensa politicizzazione del movimento operaio, una relativa abbondanza del fattore lavoro caratterizzano modalità partecipative di segno differente. Al di là di uno status giuridico impensabile oltre oceano (si pensi agli esperimenti di compartecipazione dei lavoratori alla vita aziendale culminati nei modelli tedesco e scandinavo), il lavoro in quanto fattore della produzione è nella tradizione europea meno massificato. Non è semplice per una cultura in cui persiste l'idea del "maestro", accogliere l'espropriazione da parte della macchina. La cultura europea resta ostile al trionfo dell'operaio-massa che stava facendo la fortuna del capitalismo americano. Lo testimonia, tra l'altro, la difficoltà con cui i metodi di organizzazione scientifica del lavoro in uso negli Stati Uniti trovano applicazione in molti paesi europei, caratterizzati dal permanere di relazioni industriali di stampo paternalistico. Per lungo tempo, tra anni Settanta e Ottanta del Novecento, un terzo modello ha catturato l'attenzione. Si tratta di una sorta di "quadratura del cerchio", in cui il trionfo della produzione di massa si accompagna agli aspetti virtuosi di fedeltà dei lavoratori, di commitment, di partecipazione attiva e contributo diretto alla creazione di innovazioni e diffusione di conoscenza. È il modello giapponese, di un collettivo virtuoso che rende possibile quanto la massificazione statunitense non consentiva, ovvero il coinvolgimento attivo dei lavoratori, ma è anche il modello che l'Europa viveva con una certa difficoltà, ovvero la creazione di una forza lavoro disciplinata e ordinata, adatta alle necessità della produzione di massa. L'esito dell'alleanza tra imprese e lavoratori è un sistema con basso grado di conflittualità, elevato rendimento, applicazione di metodi organizzativi e produttivi innovativi, presto imitati dai concorrenti occidentali. Questi tre modelli capitalistici sono tre stilizzazioni del rapporto tra lavoro e sistema della produzione, con esiti variegati in termini di successo competitivo internazionale nel corso della grande stagione di affermazione del capitalismo di grande impresa. Un mondo, certo, rimescolato dalle trasformazioni della terza rivoluzione industriale e dall'avvento dei processi caratterizzati da elevato grado di tecnologia e conoscenza, ma che conserva ancora oggi molti dei suoi tratti fondamentali.