Per una montagna piu' sostenibile
Ratificato dall'Italia nel 2012, a maggio è entrato in vigore il protocollo turismo della Convenzione delle Alpi che allinea in materia il nostro paese agli altri stati firmatari.
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Cristina Mottironi |
La Convenzione delle Alpi, ricordiamolo, è un trattato internazionale vincolante che coinvolge l'Unione europea e gli otto paesi che insistono sull'arco alpino, impegnandoli ad adottare concrete misure attuative di sviluppo sostenibile attraverso un insieme di protocolli, tra cui quello dedicato al turismo. La Convenzione pone al centro delle policy nazionali e transnazionali la necessità di tutelare gli interessi della popolazione residente nello spazio alpino, interessata da considerevoli cambiamenti economici e demografici, e al contempo affermare il ruolo strategico dell'ambiente montano per la tutela della biodiversità, la produzione di energia e come polmone verde. Si afferma in altri termini la centralità, di contro alla perifericità con cui spesso li si guarda, di territori in cui risiedono 14 milioni di abitanti e che si trovano al crocevia delle più importanti zone economiche d'Europa. Territori interessati da fenomeni contrastanti, da cui la necessità di un approccio sostenibile, quali gli elevati tassi d'incremento dei flussi di persone e merci, la tendenza all'urbanizzazione di alcuni comuni alpini e del forte spopolamento di altri, e la difficoltà nel trovare adeguate forme di sviluppo.
In questo senso, il turismo rappresenta indubbiamente un fondamentale driver economico e uno dei principali mercati del lavoro per lo spazio alpino degli otto paesi coinvolti. Questo infatti accoglie oltre 100 milioni di turisti, con un contributo economico stimato in circa 50 miliardi l'anno e un'incidenza sul mercato del lavoro dell'insieme di quelle zone che oscilla tra il 7 e il 10%, arrivando al 15% considerato anche il contributo indiretto. L'Italia, poi, è il paese che detiene la più alta quota di questi flussi turistici assieme alla Francia, tant'è che nel nostro paese la montagna vale, da sola, il 16,3% degli arrivi turistici nazionali.
È oggi però evidente che il turismo alpino, anche e in particolare nel nostro paese, richiede di essere ripensato in quanto da tempo manifesta segnali di difficoltà e di squilibrio da non sottostimare. Anzitutto si tratta di un mercato molto concentrato in pochi poli turistici ad alta, a volte eccessiva, intensità di flussi che non si è stati in grado di coordinare strategicamente con le aree più periferiche, salvo eccezioni lungimiranti. Inoltre è un mercato parzialmente saturo, tranne alcuni bacini di domanda quali l'Europa dell'Est, che ha quindi spesso portato a fenomeni di ridistribuzione dei flussi più che di vera crescita. Infine, parliamo di un turismo maturo, con una stagione estiva in difficoltà crescente che stenta a trovare modelli alternativi convincenti e un mercato invernale sempre più competitivo, che avvantaggia stazioni di alta quota in comprensori con ampio demanio sciabile e in grado di innovare costantemente infrastrutture e prodotti offerti. Per converso, si è invece spesso assistito ad ancoramento ai modelli tradizionali e a investimenti infrastrutturali in stazioni anche di piccola dimensione e bassa quota, con benefici dubbi ma costi economici e ambientali certi.
Le località montane avvertono quindi con particolare cogenza la necessità di ripensare la propria offerta turistica in termini di modelli alternativi e di attenzione ai temi della sostenibilità ma anche di maggior competitività. L'auspicio è che, se adottata in modo corretto, la sostenibilità non sia fine a se stessa (rischiando di rimanere un'idea inapplicata e forse inapplicabile) ma possa e debba essere uno strumento per migliorare la posizione competitiva delle destinazioni sul mercato, favorendo la crescita e lo sviluppo dei territori montani, sebbene non in modo squilibrato e incondizionato ma equo e ricondotto all'interno di un uso ragionevole delle risorse, anche in una prospettiva di lungo termine.