Una casa per bambini, un’azienda per il sociale
In un panorama fatto di 220 mila organizzazioni non profit, il futuro si gioca sulla capacità di diventare vere imprese sociali, ovvero di staccarsi da un concetto ormai obsoleto che guarda al volontariato come attività non professionalizzata. E come vere imprese, si tratta di sviluppare efficaci strategie di gestione delle risorse e di raccolta fondi. Questo il senso della testimonianza che Luisa Pavia, responsabile del fund raising del Caf (Centro di aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia in crisi di Milano), ha voluto portare in Bocconi agli studenti del corso di management del fund raising tenuto da Giorgio Fiorentini.
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Un poster realizzato dai piccoli ospiti del Caf |
Dal 1979, in collaborazione con il Tribunale per i minori e i servizi sociali, il Caf ha accolto circa 1.000 bambini tra i 3 e i 12 anni vittime di abusi nelle tre case-famiglia del Centro: nel 2006, i bambini ospitati sono stati 57, il 59% dei quali aveva almeno un genitore straniero. Da qualche anno, il Caf svolge anche un'attività di prevenzione, con l'aiuto alle madri prima del parto e di sostegno successivo nell'ottica del reinserimento in famiglia, che sia di origine o affidataria. Il tutto per rompere quella catena "che fa di un bambino che ha subito violenze, se non aiutato, un uomo violento e un costo economico enorme per la società", come aggiunge Luisa Pavia.
Il lavoro del Caf coinvolge 45 persone, di cui meno di 10 volontari, ed è gestito per il 34% con i proventi della raccolta fondi: del milione e seicentomila euro di entrate del 2006, infatti, quasi 560 mila euro provengono dalle liberalità, a fronte di 800 mila (49%) originati dalle rette pagate dagli enti affidatari (il Comune di Milano in primis), 192 mila di contributi pubblici (12%) e un 5% derivanti da servizi specialistici e consulenze svolte dal Caf stesso. Tra le tante iniziative organizzate per il fund raising, anche due aste organizzate con la collaborazione di Sotheby's, durante le quali sono stati battuti alcuni scatti di famosi fotografi e alcuni preziosi donati da una nota casa di gioielli. "Rispetto ad altre strutture, che si affidano per l'85-90% ai fondi pubblici, il 61% di questa organizzazione è un dato interessante, poiché si può tradurre in maggiore autonomia e flessibilità. È proprio questa la direzione che il non profit deve prendere, ovvero il sempre maggiore sganciamento dal pubblico".
Ma è anche un'organizzazione di tipo aziendale che può fare la differenza: "Il mondo del non profit è in grado di gestire le situazioni esistenti, ma spesso è incapace di progettare ciò che ancora non esiste", spiega Pavia Saviane. "Mancano i talenti nel management e solo ultimamente si sta cominciando a cambiare rotta e a capire che il solo volontariato non basta. Per quanto riguarda la nostra struttura, per esempio, l'aspetto medico ben coniugato con quello organizzativo diventa un fiore che sboccia continuamente". Come avviene persino nelle case di accoglienza di Madre Teresa di Calcutta, "che", racconta ancora Pavia, "era una grandissima manager e ha fondato con semplicità comunità organizzate come vere e proprie aziende con regole rigidissime".