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Un popolo con la valigia

, di Massimo Anelli - associato presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche
Gli stranieri che chiedono asilo all'Italia sono solo una frazione degli italiani che abbandonano il paese per cercare fortuna all'estero. Soprattutto in Germania

Negli ultimi mesi l'emergenza immigrazione è stata al centro di un intenso dibattito. Le immagini drammatiche dei rifugiati hanno mosso le coscienze e sono state motore di grandi cambiamenti sia nella gestione dei flussi a livello europeo che a livello di opinione pubblica.
Senza nulla togliere alla drammaticità degli eventi, è utile abbandonare per un istante emozioni e opinioni politiche per focalizzarsi sui numeri dell'immigrazione.
Con Giovanni Peri della University of California, Davis abbiamo comparato i flussi di italiani che hanno lasciato il nostro paese (ottenuti dall'Anagrafe degli italiani residenti all'estero) con quelli sull'immigrazione forniti dall'Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati.
Il risultato è stato sorprendente. Solo nel 2014 più di 110.000 cittadini italiani sono emigrati per cercare lavoro e fortuna in altri paesi. Se questi italiani avessero viaggiato su barche ne avremmo vista una alla settimana con più di 2100 persone. Sempre nel 2014, gli immigrati richiedenti asilo in Italia sono stati circa la metà degli italiani partiti (circa 60.000). E di questi hanno ottenuto l'asilo soltanto poche migliaia.
Senza equiparare le condizioni emergenziali dei rifugiati a quella degli italiani che emigrano, con calma, per scelta e in sicurezza, comparare questi flussi stimola due importanti riflessioni. Una riguarda l'impatto economico dei migranti e l'altra riguarda il modo in cui l'Italia considera la collaborazione con il resto d'Europa.
Innanzitutto, l'enfasi sui potenziali costi economici degli immigrati sollevata in questi giorni è mal riposta. La perdita fra il 2010 e il 2014 di 200.000 giovani, dinamici e produttivi, il cui contributo all'economia italiana sarebbe grandissimo, è costo economico molto più significativo rispetto all'arrivo dei rifugiati. In un mondo integrato è fisiologico che le persone migrino tra paesi. In tale prospettiva i giovani immigrati andrebbero visti come potenziali risorse. È stato così in Irlanda dove la grande emigrazione verso Inghilterra e Stati Uniti è stata controbilanciata da grande immigrazione (in gran parte dall'Est Europa), stimolando il suo boom economico tra il 2000 e il 2010.
La seconda riflessione evidenzia l'ingenerosità con cui l'Italia critica il resto d'Europa per la gestione della "crisi dei migranti". L'Italia ha accettato negli ultimi anni solo un minimo numero di rifugiati tra i richiedenti asilo (mai più di 3.500 all'anno), mentre la Germania ne ha accettati più di 30.000 solo nel 2014. Allo stesso tempo, il resto d'Europa ha accolto 873.000 immigrati italiani dal 1992 ad oggi. Di essi 221.000 sono in Germania (il paese che ne accoglie di più) e ve ne sono 120.000 in Francia e in Regno Unito. Certamente esiste libera mobilità tra Italia e resto d'Europa ma è fuorviante ed ingeneroso rappresentare la Germania, che accoglie ogni anno decine di migliaia di rifugiati e decine di migliaia di italiani, come un paese che "scarica" le sue responsabilità.
In conclusione, invece che affrontarla come emergenza da arginare, l'immigrazione andrebbe governata strategicamente come risorsa per la crescita. Ma per sfruttare i potenziali benefici dell'immigrazione ci vuole pianificazione dei flussi, un mercato del lavoro flessibile e migliori politiche di immigrazione. Bisognerebbe insomma ammettere legalmente un ragionevole numero di immigrati e dargli quelle stesse opportunità che vengono date agli italiani che emigrano, e per il cui successo economico e carriera dovremmo essere grati al resto d'Europa.