Un nuovo asse russo-cinese
L'accordo siglato il 21 maggio tra la russa Gasprom e China National Petroleum Corporation costituisce sicuramente un evento di grande portata per il mercato del gas naturale a livello mondiale e per gli equilibri geopolitici. Impatto che va al di là del pur significativo volume di 38 miliardi di metri cubi all'anno, quasi la metà del consumo italiano, e che ha portato i commentatori a prefigurare scenari ed evoluzioni forse con troppa disinvoltura.
Partiamo dall'accordo stesso, che consente alla Cina una diversificazione delle fonti energetiche, ancora oggi ancorate per il 60% al carbone, venendo incontro alle esigenze di riduzione dell'emissione di gas serra e all'emergenza ambientale di molte aree del paese. Accordo che, inoltre, sembra aprire la strada a collaborazioni industriali nell'intera filiera energetica tra i due paesi, e che richiede ai due paesi un significativo investimento per la realizzazione di nuovi gasdotti che colleghino le zone di estrazione in Siberia con il territorio cinese.
Detto questo, è bene sgomberare il campo da alcuni timori che nei commenti dei giorni successivi sono stati avanzati sulla stampa e nel dibattito politico. Questo accordo non porterà ragionevolmente ad un ri-orientamento dei flussi di gas sovietico dall'Europa alla Cina. Per il fatto che le aree di estrazione che alimentano le esportazioni russe nelle due aree sono diverse e assai lontane tra loro, e per il fatto che l'Europa, Germania e Italia tra i primi, sono ottimi clienti in un'area economica che complessivamente importa dalla Russia 160 miliardi di metri cubi all'anno, a cui difficilmente Gazprom vorrà rinunciare. Così come appare del tutto irrealistico in tempi brevi un supporto delle forniture americane all'Europa o all'Ucraina in caso di crisi che è stato avanzato negli ultimi tempi. Questi progetti richiedono almeno 4 anni per poter divenire operativi, più o meno l'orizzonte temporale entro cui l'accordo russo-cinese darà i suoi primi metri cubi di gas.
E tuttavia la sensazione di un impatto globale coglie alcuni aspetti che ritroviamo nell'evoluzione recente del mercato del gas naturale, anche perché storicamente le scelte strategiche in questo comparto si sono sovrapposte e hanno supportato e condizionato scelte di politica estera dei grandi player mondiali. In questi giorni, ad esempio, assistiamo ad un possibile show down nella situazione che vede due grandi progetti di gasdotti, South Stream e Nabucco, in competizione per assicurare l'afflusso di gas in Europa dall'area del Caucaso evitando il collo di bottiglia ucraino.
Il mercato del gas oggi appare più integrato di un tempo, essenzialmente per il peso che il gas naturale liquefatto trasportato per nave oggi riveste, consentendo flussi di esportazione molto più articolati e flessibili di quelli legati alle reti di gasdotti. Mercato, inoltre, scosso negli ultimi anni dallo sviluppo intenso delle estrazioni di gas non convenzionale negli Stati Uniti, che hanno trasformato questo paese da importatore a potenziale esportatore in un prossimo futuro. E che hanno portato a modificare i flussi di esportazione di gas liquefatto verso l'Europa e l'Asia. Europa, infine, che dopo 15 anni di progressiva liberalizzazione e apertura dei mercati vede un doppio sistema di approvvigionamento, attraverso i contratti di lungo periodo con i paesi produttori e nei mercati all'ingrosso che si sono sviluppati, soprattutto in Inghilterra e Olanda, dove il gas viene scambiato a prezzi che meglio riflettono lo stato del mercato discostandosi a volte significativamente dal prezzo dei contratti di lungo periodo.
Dentro questa articolata situazione il nuovo accordo russo-cinese diviene una delle tante tessere di un mosaico complesso. Che potrà condizionare i mercati asiatici e quelli globali più con le leggi della domanda e dell'offerta che con le trame della politica internazionale.