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Un decollo che non c’è stato

, di Gian Luca Podestà - ordinario presso l’Università di Parma e docente di storia economia alla Bocconi
Sud. Le politiche economiche dopo l’Unità d’Italia

Il problema non è dibattere se fra il 1860 e il 1861 vi fossero scelte politiche o economiche che avrebbero potuto indirizzare il paese verso approdi diversi. Così come palesemente inconcepibile sarebbe immaginare la possibilità per il Regno delle Due Sicilie di mantenere la propria indipendenza. Lo Stato meridionale era già stato condannato dal progresso dell'idea liberale e dalla pubblica opinione illuminata di Gran Bretagna e Francia, con la sostanziale acquiescenza del resto d'Europa.

Né era concepibile una scelta federalista, che pure godeva di grande credito fra i liberali italiani, e che teoricamente sembrava essere quella ottimale. La rivolta delle popolazioni meridionali, accresciuta dall'aspettativa di palingenesi sociale legata alla figura mistica di Garibaldi e dal contrasto con l'effettivo impatto del nuovo stato liberale su comunità contadine abituate al paternalismo dell'assolutismo regio, e la feroce repressione che ne seguì, liquidarono ogni ipotesi alternativa al centralismo. Tanto più che nelle ex province napoletane non si distingueva un'adeguata classe dirigente. In realtà, la violenza della repressione era figlia delle illusioni nutrite al Nord sulla capacità autopropulsiva del Sud, liberato dal giogo di un governo corrotto e inefficiente. La scelta liberista, poi, sembrava la più adeguata a uno sviluppo armonico dell'economia del paese. Cavour concepiva un equilibrio agricolo-commerciale, in cui l'Italia avrebbe sviluppato le proprie produzioni naturali e recuperato il ruolo d'intermediario fra l'Oriente e l'Europa occidentale. Non vi era posto in questa strategia per la sopravvivenza dell'industria protetta del regno, eredità del passato mercantilistico e sostenuta anche nei poli più dinamici dalle commesse pubbliche. Il dogmatismo velava la realtà delle cose: Cavour era convinto davvero che il Sud sarebbe tornato a essere un grande produttore di seta, la prima voce di esportazione del paese. A tal fine il governo doveva contribuire solo con la genesi di una rete di strutture e di servizi pubblici che ponesse il capitale privato, agente dominante di sviluppo secondo la teoria vigente, in grado di investire nelle regioni meridionali a condizioni non dissimili dal resto del paese. Ma il nodo decisivo del nuovo stato unitario era il problema finanziario, la scelta liberista oltre a integrare l'Italia nel sistema economico internazionale garantiva l'afflusso degli indispensabili capitali esteri. In realtà il Mezzogiorno avrebbe avuto bisogno fin da allora di politiche di intervento 'speciali', volte soprattutto alla creazione di capitale fisso sociale e all'elevazione dell'istruzione. Le sue risorse erano inadeguate a sostenere i costi di un processo accelerato di modernizzazione e da questo difetto d'origine discendeva la collocazione subordinata che il Meridione era destinato ad assumere. E poi nel Sud mancavano banche moderne: la filiale della Banca Rotschild creata a Napoli prima dell'unificazione fu liquidata nel 1863. Anche quando la Sinistra storica riorientò la politica economica in senso industrialista, se ne avvantaggiarono le manifatture e l'agricoltura del Nord. Del resto, il futuro del Sud continuava a essere immaginato come agricolo: Franchetti e Sonnino auspicavano una riforma agraria e la costituzione di una classe di contadini proprietari, mentre Crispi giustificava l'espansione coloniale per offrire in Africa nuove terre da coltivare alle masse meridionali. Solo all'inizio del '900 finalmente, per impulso del nuovo spirito meridionalista incarnato da Nitti, che concepiva il riscatto del Sud tramite lo sviluppo industriale, furono emanate le prime 'leggi speciali' di sostegno, la più importante delle quali fu quella per il risanamento economico di Napoli, che prevedeva incentivi alle imprese, nuove opere pubbliche, la creazione di scuole tecniche e professionali, l'ampliamento dei cantieri di Castellammare di Stabia e la costruzione dello stabilimento siderurgico di Bagnoli. Ma ancora nel 1911 il reddito pro capite delle regioni meridionali era circa la metà di quello del Nord Ovest, che invece era quasi uguale a quello francese.