Un coordinamento da exit
Anche se i segnali che fanno pensare alla fine della crisi che ha colpito l'economia mondiale devono ancora tradursi in evidenze di ripresa, è tempo di porsi il problema di come rientrare in una situazione di 'normalità' rispetto alle misure eccezionali poste in atto. È il tema della cosiddetta exit strategy, che è stato opportunamente evocato dal ministro Giulio Tremonti il 7 settembre in Bocconi, con l'auspicio di un coordinamento soprattutto a livello europeo.
La necessità di una exit strategy nasce dal fatto che, per fronteggiare la crisi, ci si è allontanati in tutti i paesi dalle linee guida della propria politica economica, che per quanto riguarda l'Ue si basavano (e devono tornare a basarsi) sulla stabilità (dei prezzi) con la politica monetaria orientata al controllo dell'inflazione e la politica fiscale subordinata alla disciplina di bilancio (Patto di crescita e di stabilità), e sulla crescita affidata alle politiche dell'offerta (le riforme strutturali tra cui la Strategia di Lisbona).Infatti, per salvaguardare la tenuta del sistema finanziario, la politica monetaria ha immesso massicce dosi di liquidità per sostituire quella 'congelata' dal sistema bancario, mentre la politica fiscale ha dovuto occuparsi del lato 'reale' dell'economia, dato che consumi e investimenti sono crollati e solo un vigoroso stimolo di spesa pubblica ha potuto evitare una grave recessione. Anche se tassi di interesse vicini allo zero hanno consentito di abbattere i costi dello stimolo fiscale, in molti paesi sono aumentati disavanzo e debito pubblico. La situazione alla lunga non è sostenibile né dal punto di vista monetario (prima o poi l'eccesso di liquidità si trasforma in inflazione), né dal punto di vista dei bilanci pubblici e della sostenibilità del debito (nell'Ue, 20 stati membri su 27 sforeranno i criteri di Maastricht sul deficit nel 2009 e nel 2010). L'exit strategy richiede un approccio coordinato tra politiche e paesi.Infatti, la politica monetaria non può diventare immediatamente restrittiva, pena un aumento dell'onere del debito, una riduzione del pil, e dunque la sostenibilità del bilancio. Ne consegue che la restrizione monetaria deve coordinarsi con una strategia graduale di rientro dal disavanzo e dal debito, per cui i governi (cui compete la politica fiscale) devono concordare tempi e modi con l'autorità di politica monetaria comune (la Bce). Parallelamente, occorre un coordinamento tra paesi, non solo nell'ambito del G20, ma anche nell'Ue, dove le condizioni di accesso alla liquidità non sono simmetriche, dato che alcuni fanno parte dell'area dell'euro e altri no (in primis il Regno Unito). Dunque l'azione delle banche centrali deve essere coordinata, come pure la graduale rimozione delle garanzie alle banche, per evitare di alterare il contesto competitivo e di generare comportamenti opportunistici. Analogamente, il percorso di rientro dal debito deve essere coordinato all'interno dell'Eurozona, con i paesi in condizioni peggiori che iniziano prima. In caso contrario, un paese potrebbe beneficiare dell'effetto stabilità indotto dalla maggior disciplina fiscale degli altri senza migliorare la propria finanza pubblica, ponendo così le premesse per un danno a tutti.Le riunioni dell'Eurogruppo e dell'Ecofin dell'1-2 ottobre, pur in assenza di conclusioni operative, si sono soffermate sulla necessità di un'exit strategy comune. Agire tempestivamente per recuperare sostenibilità per le finanze pubbliche e mantenere sotto controllo l'inflazione è comunque di importanza strategica (assieme alle riforme) anche per sostenere la competitività europea e conseguire tassi di crescita più soddisfacenti.