Tra volontarieta' e vincolo
È diventata di moda anche da noi solo di recente, veicolata soprattutto dall'acronimo anglicizzante di Csr (Corporate social responsibility), ma la riflessione sulla responsabilità sociale delle imprese affonda le proprie radici nello sviluppo della grande impresa manifatturiera, costituendo l'ultima progenie dell'umanesimo filantropico della grande borghesia di fine Ottocento. L'inizio della sua trasformazione in argomento scientifico e di attenzione del legislatore data invece dall'emergere di una crescente percezione della pluralità di interessi dei soggetti coinvolti nell'attività d'impresa: azionisti, manager e dipendenti, clienti e fornitori, consumatori e appartenenti alle comunità territoriali interessate. Una molteplicità di interessi, spesso non convergenti, la cui protezione si è storicamente articolata in un delicato intreccio di autonomia privata e regole giuridiche.
Di particolare delicatezza è allora la considerazione del rapporto fra queste ultime, di matrice eteronoma o di origine pattizia, ma comunque sanzionabili da un'autorità legittimamente preposta a garantirne il rispetto, e le previsioni di impegni unilateralmente assunti dalle imprese su base volontaria e trasfusi in codici etici. Impegni assunti non per scopi di pura filantropia, ma sul presupposto, documentato da ampia letteratura, di uno specifico ritorno d'immagine e di risultati aziendali. Scontato il rispetto delle discipline inderogabili di legge, il futuro della Csr si gioca sul secondo versante, degli impegni volontariamente assunti dall'azienda a maggior tutela di quegli interessi che rischiano di venire pregiudicati da comportamenti pur legittimi dell'impresa. Ripercorrendo storicamente l'evoluzione dei diversi ordinamenti nazionali risulta evidente come il formarsi di determinate regolazioni giuridiche sia la risposta a pressioni dell'opinione pubblica davanti a specifiche emergenze sociali, per lo più sorte in riferimento ad interessi fino a quel momento non ritenuti meritevoli di una protezione ad hoc: così è stato nel nostro paese per i primi interventi in materia di sicurezza sul lavoro, o negli Stati Uniti in risposta ai fenomeni di malcostume nei mercati finanziari e risoltisi in grave pregiudizio per i risparmiatori. Analogamente, le recenti modifiche del diritto societario britannico stabiliscono come l'interesse dei dipendenti, dei fornitori e dei clienti, oltre che il potenziale impatto dell'attività d'impresa su comunità e ambiente debbano essere oggetto di esplicita considerazione a tutti i livelli decisionali dell'azienda. In entrambi i casi, il tratto saliente è la non obbligatorietà dell'adozione di specifici codici etici, ma, nel caso in cui ciò avvenga, la necessaria pubblicità degli stessi e la sanzionabilità della loro mancata osservanza. È dunque proprio sullo scivoloso crinale fra volontarietà delle iniziative socialmente responsabili assunte dall'impresa e vincolatività dei relativi impegni che si giocano le sorti e la credibilità stessa della Csr. Volontarietà che non può ridursi a mera autoreferenzialità, a costo di trasformarsi in puro strumento di marketing, con tutti i connessi rischi di una pubblicità ingannevole, laddove alle dichiarazioni di principio non corrispondano comportamenti conseguenti. A ciò non possono supplire i semplici meccanismi del mercato, la cui ineffettività è data dall'inevitabile scansione temporale fra le pratiche poste in atto e l'eventuale ripercuotersi negativo, in termini reputazionali, di una loro mancata coerenza con gli impegni assunti. Ma che non può neppure tradursi, sempre e comunque, nel sorgere di obblighi giuridici ove le modalità di esplicitazione degli impegni assunti dall'impresa non consentano la loro riconduzione agli schemi tipici dell'autonomia negoziale privata. La questione non trova una risposta risolutiva, ma non può che essere oggetto di una continua sperimentazione, alla ricerca di meccanismi idonei per una progressiva diffusione di una cultura della responsabilità sociale che sia vissuta dai protagonisti del mercato quale contributo, consapevole e condiviso, ad uno sviluppo socialmente sostenibile.