Tassa per fare cassa
Il ricorso alle tasse è diventata l'unica fonte di copertura di vecchi buchi e nuovi deficit, e il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuenti è impersonale e di scontro aperto. La giustificazione dei tributi è, oramai, l'esigenza di cassa, sventolata come un vessillo per validare scelte che immolano i diritti dei contribuenti sull'altare dell'interesse fiscale, il quale – questo è il paradosso – affonda le radici in quell'art. 53 Cost. che è espressione del principio del "giusto tributo". A livello legislativo, una profluvio di decreti legge ha annientato la certezza del diritto tributario. L'esigenza di cassa è ben lungi dal rientrare sempre nei "casi straordinari di necessità e urgenza" che legittimano il ricorso al dl, con susseguente violazione dell'art. 77 Cost., dell'art. 4 dello Statuto del contribuente, che vieta l'istituzione di nuovi tributi per dl e del principio "no taxation without representation" (art. 23 Cost.), il quale richiede che i tributi derivino dal consenso parlamentare e non da costanti decisioni unilaterali dell'esecutivo.
Nella fase di attuazione del prelievo i diritti dei contribuenti talvolta sono ignorati, perché gli Uffici fiscali sono pressati dai budget d'imposta da accertare e riscuotere, in conseguenza della prassi di usare la stima dell'evasione fiscale dell'anno come posta attiva di quadratura del bilancio dello Stato. Non è difficile imbattersi in accertamenti che violano il diritto alla giusta imposta, il diritto al contraddittorio preventivo, il diritto di difesa. L'ultima frontiera è stata abbattuta qualche settimana fa: la Cassazione ha legittimato, confermandolo, un accertamento fondato su documenti acquisiti nell'abitazione del contribuente senza l'autorizzazione del magistrato, in contrasto con l'art. 14 Cost.
Quanto alla giustizia tributaria, non è eccessivo parlare di giustizia emergenziale. Non solo è palese la tendenza a fare prevalere, nel dubbio, l'interesse erariale, ma la sezione tributaria della Cassazione svolge oramai un ruolo di supplenza, affiancandosi al fisco e sostituendosi al legislatore: in mancanza di regole espresse, per sentenza si approntano tutele e creano fattispecie impositive, sovente irragionevoli, violando la terzietà del giudice, il principio di legalità, e, dal punto di vista del contribuente, la certezza del diritto. Oggi, un cittadino che rispetta le leggi fiscali può essere lo stesso accertato e l'accertamento può essere confermato in base al "diritto tributario dei giudici", com'è accaduto a un professionista che ha pagato in anticipo 5 anni di affitto dei locali adibiti a studio professionale, deducendo il costo di locazione e, dunque, riducendo per quell'anno le imposte da pagare: per la Cassazione è stato un "abuso del diritto", anche se il costo era reale e lecito, e sarebbe stato deducibile negli anni successivi se fosse stato pagato in modo frazionato.
A tutti i livelli, le esigenze di cassa risultano oggi preminenti rispetto ai diritti dei contribuenti, in particolare quello di pagare le imposte su una ricchezza reale. Ma lo scopo dei tributi non è fare cassa: se così fosse, qualunque tributo, anche il più odioso, qualunque accertamento fiscale, anche il più infondato, qualunque provvedimento giurisdizionale, anche il più stravagante, sarebbe giustificabile. I tributi vanno prelevati con leggi chiare ed equilibrate, imponendo il giusto sacrificio a tutti con un peso complessivo sopportabile e percepito come equo, mediante un fisco e una giurisprudenza severi ed efficienti ma giusti e imparziali.