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Studiare all'estero per vincere i pregiudizi

, di di Silvia Torretta
Presentata in Bocconi una ricerca promossa da Intercultura

L'importanza di un'esperienza di studio all'estero non è una novità per la Bocconi, che da anni ha fatto dell'internazionalizzazione l'obiettivo prioritario delle sue strategie di sviluppo, favorendo da un lato l'arrivo di studenti internazionali attraverso un'offerta di corsi di laurea e master in lingua inglese e dall'altro attivando sempre più numerosi programmi di scambio con atenei, enti e istituzioni in tutto il mondo.

Con circa il 10% di studenti stranieri, la Bocconi può vantare oggi un ambiente eterogeneo e multiculturale sia sul fronte degli studenti sia della faculty, che favorisce lo scambio interpersonale e l'apertura mentale e un arricchimento culturale, oltre che linguistico.

Attitudini che, di fatto, non sono innate ma hanno bisogno di essere stimolate e sollecitate con iniziative concrete fin dalle scuole superiori. E' questa la missione che si propone Intercultura, l'associazione di volontariato che promuove e organizza scambi di studenti delle scuole superiori in tutto il mondo (circa 1500 ogni anno). Fondata nel 1955, Intercultura è la sezione italiana dell'AFS – American Field Service, l'organizzazione umanitaria che contribuisce alla diffusione di una cultura della pace attraverso gli scambi dei giovani.

Il 14 gennaio scorso la Bocconi ha ospitato la manifestazione che ha aperto le celebrazioni del Cinquantenario dell'associazione. "Intercultura non significa soltanto multicultura. Non si tratta, cioè, solo di accettazione e rispetto della molteplicità delle culture, ma di ricerca del confronto tra culture diverse", ha dichiarato Carlo Fusaro, presidente di Intercultura, introducendo i lavori della giornata.

L'incontro si è focalizzato sulla presentazione di una ricerca scientifica che ha misurato lo sviluppo di competenze interculturali tra gli studenti che hanno partecipato a un periodo di scambio all'estero attraverso l'associazione. La ricerca è stata condotta, tra il 2002 e il 2004, dal professor Mitchell R. Hammer, docente di studi sulla pace e sulla risoluzione dei conflitti presso l'American University di Washington e ha preso in esame un campione di partecipanti ai programmi di scambio di AFS Intercultural Programs, il network di cui Intercultura fa parte: 2100 gli studenti considerati, dei quali 1500 borsisti e 600 come gruppo di controllo.

"L'esperienza di studio all'estero – ha spiegato Hammer – produce effetti su vasta scala. In particolare si osserva un sostanziale incremento delle competenze interculturali degli studenti, una riduzione dei pregiudizi, degli stereotipi e delle discriminazioni; inoltre esperienze di studio all'estero aumentano l'interesse degli studenti verso culture differenti dalla propria e aiutano a superare i processi di polarizzazione "noi vs loro", creando una base comune per la risoluzione dei conflitti culturali".

Le dinamiche evidenziate dalla ricerca sono interessanti per i valori percentuali rappresentati: dopo il rientro i partecipanti allo scambio hanno dimostrato una propensione maggiore allo scambio e al rapporto con persone di altre culture, così come hanno significativamente incrementato la percentuale di amicizie internazionali (dall'11% al 23%), rispetto ai compagni rimasti in Italia. Un altro dato significativo riguarda il livello di conoscenza della lingua del paese ospitante: al termine del programma il 47% dei partecipanti ha raggiunto infatti un avanzato grado di conoscenza della lingua o di bilinguismo, rispetto a un iniziale 7%. Interessante notare come i progressi linguistici siano stati rilevanti anche negli studenti che partivano da una bassa o nulla conoscenza della lingua.

Il Professor Hammet ha utilizzato, per la sua ricerca, un modello chiamato Developemental Model of Intercultural Sensitivity, che consente di inquadrare le reazioni delle persone di fronte alle differenze culturali e quindi l'evoluzione dei loro atteggiamenti nell'interazione con culture diverse.

Sinteticamente, secondo tale modello gli individui partono generalmente da una fase di etnocentrismo, che si manifesta come rifiuto o negazione delle differenze culturali (o, all'eccesso opposto, come appropriazione totale e acritica di una cultura altra). Da questa fase si può passare, attraverso esperienze interculturali, a una fase di universalismo, in cui si tende a minimizzare le differenze tra culture. Infine si può arrivare alla fase di etnorelativismo, in cui la propria cultura è vista nel contesto delle altre e si impara a sentirsi a proprio agio a livello internazionale, accettando norme e comportamenti diversi, senza necessariamente condividerli.

Attraverso questa chiave di lettura, i dati raccolti sugli studenti borsisti AFS hanno mostrato come, prima di partire per il programma di scambio, essi si trovassero tendenzialmente in una fase di etnocentrismo o moderato universalismo: a sei mesi dal rientro a casa si è osservato invece un passaggio accentuato alla fase universalistica, soprattutto da parte di chi era partito da un forte etnocentrismo, riducendo quelle differenze nei confronti dello straniero che in partenza erano percepite come insuperabili e inaccettabili.