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Storie di ordinaria politica (nucleare)

, di Andrea Colli - ordinario presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche
Il mezzo secolo breve dell'atomo italiano

Nonostante tanti successi, sul fronte energetico l'Italia del boom rassomigliava più alla gaudente cicala che alla austera formica. La prima rivoluzione industriale, e parte della seconda grande trasformazione nella direzione dei settori a elevata intensità di capitale, si era svolta grazie a un mix energetico che affiancava a preponderanti fonti tradizionali come il carbone, di cui il paese era importatore dall'estero, nuove soluzioni tecnologiche (come ad esempio l'idroelettricità). La fase di intensa crescita che caratterizzò il miracolo economico mostrò invece subito, e drammaticamente, la limitatezza delle risorse energetiche autoctone disponibili a sostenere uno slancio produttivo senza precedenti. Nel contempo, al paradigma energetico dominato dal carbone se ne andava sostituendo uno nuovo, quello del petrolio. Benzine, derivati, scorie di raffinazione bruciate nelle centrali termoelettriche costituirono, da questo momento in avanti, il driver energetico su cui il paese poggiava la propria crescita, presente e futura. Il tutto, però, non risolveva il problema principale, ovvero quello di una bilancia energetica sempre più passiva, dato che se di carbone in Italia non ce n'era, il petrolio non abbondava di certo. Né i fortunati ritrovamenti dell'Eni e l'impiego intensivo del metano potevano, al pari dell'idroelettricità di mezzo secolo prima, colmare completamente il deficit.

Date queste condizioni, era ovvio che si iniziasse, soprattutto da parte dei principali gruppi privati, ma anche da non pochi esponenti del mondo dell'impresa pubblica, a parlare di progetti che riguardavano l'impiego del nucleare, di quella stessa energia che aveva appena mostrato la sua straordinaria ferocia distruttiva. Nel 1946, fu costituito per iniziativa di alcuni grandi gruppi energetici (Edison e Sade), ma anche d'imprese industriali, il Centro informazioni studi esperienze (Cise), attivo nella ricerca nucleare fino ai primi anni Cinquanta, quando venne affiancato dal Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari, un ente di emanazione pubblica diretto da Felice Ippolito.

A conferma del rilievo del tema stava anche l'interesse manifestato dalla Banca Mondiale, che aveva individuato nell'Italia un paese target per l'installazione di centrali nucleari e che era disposta a concedere cospicui finanziamenti, ulteriormente intensificati dall'avvio, a partire dal 1958 grazie all'azione della neonata Comunità Europea, del progetto Euratom. All'inizio del decennio 1960 sia lo Stato che i privati erano pronti ad avviare la costruzione di centrali: l'Iri quella del Garigliano, l'Eni quella di Latina, l'Edison a Trino Vercellese.

Con la nazionalizzazione dell'energia elettrica, il neo costituito Enel non assunse il ruolo di perno di una politica energetica innovativa. Ostavano a tale azione sia i bassi prezzi del petrolio, che rendevano più che visionaria ogni politica d'investimento alternativa, sia una serie d'interessi privati che vedevano nell'opzione nucleare una minaccia a rendite di posizione derivanti dall'intermediazione petrolifera, che alimentava la generazione di energia termoelettrica. Le prime avvisaglie si ebbero col blocco della candidatura di Felice Ippolito alla presidenza dell'Enel, che finì per frenare la politica nucleare del paese. Da 'opzione possibile', il nucleare divenne un problema politico. In quindici anni, fu realizzata una sola nuova centrale, quella di Caorso, nel 1982. L'Italia piombò nelle posizioni di rincalzo fra i produttori mondiali di energia nucleare, sin quando, alla metà degli Ottanta, un referendum indetto a seguito dell'incidente di Cernobyl, sancì l'abbandono definitivo del progetto nucleare. Ma in quegli anni il prezzo del petrolio scendeva. E la cicala cantava.