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Storie di calcio e di ciclismo con Gianni Mura

, di Davide Ripamonti
Giornalista sportivo e scrittore, Mura ha raccontato la sua carriera, ricca di aneddoti, ai microfoni di Radio Bocconi

Editorialista di Repubblica, per la quale scrive ogni domenica la rubrica "Sette giorni di cattivi pensieri", appassionato di calcio e di ciclismo, storico inviato al Tour de France che segue dal 1967, Gianni Mura è anche l'apprezzato autore di due libri, Giallo su Giallo e La fiamma rossa. Storie dei miei Tour, che hanno proprio il ciclismo come protagonista.

Gianni Mura ospite di Radio Bocconi

Intervistato dai dj di SportClub Riccardo Mucci e Matteo Paraluppi, Mura ha ripercorso a Radio Bocconi la sua carriera, "iniziata con molta fortuna nel 1964 quando ancora frequentavo il liceo", racconta, "sfruttando un'amicizia scolastica per entrare alla Gazzetta dello Sport, senza che avessi mai manifestato l'intenzione di fare il giornalista". Erano, come ammette lo stesso Mura, anni più facili per entrare in un giornale, "anche se, al contrario di adesso, era importante saper scrivere". Un giornalismo sportivo, quello attuale, che non piace troppo a Mura: "Soprattutto quello televisivo, urlato, con neologismi spesso incomprensibili, dove è obbligatorio essere faziosi. E pensare che, quando ho iniziato, in Gazzetta era assolutamente tassativo non tifare nessuna squadra".Di campioni Mura ne ha conosciuti tanti, chi gli è rimasto nel cuore? "Certamente Pantani, uno che impressionava non per quanto vinceva ma per 'come' lo faceva, per distacco, con fatica, con una grande teatralità. E anche la sua fine, la sua autodistruzione sono state in un certo senso molto teatrali. Ci sono campioni che sembrano invincibili, penso a Best, Maradona, Gascoigne, ma che poi nella vita sono molto fragili".Mura si è occupato nella sua carriera anche di cronaca e di politica, "per vedere l'effetto che fa", dice, poi è tornato allo sport, "e non ho nessun complesso di inferiorità verso chi scrive di cose più 'serie', anzi, i giornali che trascurano lo sport fanno male. La stessa Repubblica all'inizio non lo prevedeva, poi però si è ricreduta".