Soffiano venti di bonaccia per il 20-20 al 2020
Per il prossimo anno sono fissate le prime verifiche circa la capacità di adempiere gli obblighi previsti del cosiddetto green package, approvato dal Parlamento europeo lo scorso aprile. Terminata la fase di confronto tra la Commissione europea e i singoli stati, accompagnata dalla raccolta e sistematizzazione di una quantità impressionante di dati, il Parlamento ha approvato un corposo pacchetto di direttive e regolamenti in tema di clima ed energia. Si tratta del famoso "20-20 al 2020": meno 20% di emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990 e almeno 20% dei consumi energetici coperti da fonti rinnovabili. In realtà il pacchetto è molto più articolato e tocca anche altri temi, tra cui i biocarburanti e le auto elettriche, la cattura e lo stoccaggio del carbonio, l'efficienza delle autovetture. Inoltre le norme approvate prevedono un monitoraggio serrato delle azioni attuate dagli stati membri, in modo da seguire dinamicamente il percorso di avvicinamento agli obiettivi e rilevare per tempo eventuali comportamenti non virtuosi. I primi adempimenti di questo processo si sono già avuti nel 2009, ma è dal 2010 che si entrerà con decisione nella fase attuativa.
Cosa possiamo aspettarci dall'Italia? Se dovessimo trarre indicazioni dal passato, il risultato sarebbe sconfortante. L'analisi delle emissioni di gas serra rispetto ai target del Protocollo di Kyoto mostra che, a fronte di un obiettivo di riduzione al 2012 del 6,5% rispetto al 1990, il livello del 2007 è del 7% superiore. Anche in termini prospettici i segnali non sono incoraggianti. È ben vero che dall'ultima comunicazione della Commissione europea sui progressi verso gli obiettivi di Kyoto emerge che l'Italia potrebbe raggiungerli. Questo non sarebbe tuttavia il risultato di un cambiamento strutturale verso un assetto a minore contenuto di carbonio, ma di un intenso utilizzo dei cosiddetti meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto, da un lato, e di azioni di riforestazione per la cattura del carbonio dall'altro. I meccanismi flessibili, quali i Clean development mechanism (Cdm) e i Joint implementation (Ji), consentono di utilizzare a proprio credito attività di riduzione delle emissioni effettuate al di fuori del territorio nazionale. Contribuirà inoltre al raggiungimento dell'obiettivo la crisi ancora in corso. L'Italia mostra, inoltre, scarsa efficacia nell'attuazione delle politiche europee. Sensibili ritardi hanno caratterizzato l'approvazione di una lunghissima serie di norme: da quelle per la fissazione e il controllo degli standard energetici degli edifici ex direttiva 2001/91/CE, alle misure di sostegno per l'attuazione del piano nazionale per l'efficienza energetica ex direttiva 2006/32/CE, fino ai regolamenti per la piena operatività della direttiva 2001/77/CE di promozione delle rinnovabili elettriche.
Le decisioni che i policymaker devono affrontare sono sicuramente molto complesse, dovendo coniugare efficienza, sicurezza e sostenibilità in uno scenario incerto. Per fare emergere i risultati migliori è necessaria una modifica delle politiche verso una visione prospettica e integrata, che consenta di comparare le possibili soluzioni. Un impegno verso la costruzione di un efficace strumento di valutazione integrata consentirebbe di coniugare l'obiettivo di efficienza con quello di sostenibilità e di selezionare le decisioni migliori. Impegno che, come emerge dall'analisi del piano di azione adottato dall'Italia nel perseguimento degli obiettivi di Kyoto, è finora assolutamente mancato. Speriamo che l'annunciata Strategia energetica nazionale (Sen), moderna versione dei Piani energetici nazionali (Pen), sia l'occasione per spostarsi con decisione in questa direzione. Il primo passo sarebbe cambiare il nome in Strategia energetica e ambientale nazionale (Sean).