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Smart city fuorilegge

, di Fabrizio Fracchia e Pasquale Pantalone - rispettivamente professore ordinario e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di studi giuridici
I rischi e i limiti giuridici delle comunita' che scelgono tecnologia e condivisione per migliorare

L'obiettivo della smart city? L'aumento, attraverso la tecnologia e l'innovazione, della qualità della vita dei cittadini attivi (non più solo consumers, ma prosumers), che aderiscono all'idea della condivisione. Inoltre l'idea stessa di smart city è legata a un principio di sussidiarietà orizzontale: le iniziative smart prendono avvio dalla società e non esprimono un'iniziativa del potere pubblico.
Nella sua stessa descrizione, dunque, sono già presenti alcuni dei problemi giuridici che la smart city solleva.
Ad esempio, la centralità dell'uso delle tecnologie implica la soluzione di questioni che coinvolgono i diritti dei cittadini (si pensi al tema della net neutrality e alla tutela della riservatezza delle informazioni condivise) e impone di affrontare il problema dell'esclusione di chi non ha le competenze sufficienti a utilizzare le tecnologie medesime (il digital divide).

Quanto alla sussidiarietà orizzontale, si dovrà riconoscere la sussistenza del rischio che l'intervento pubblico volto a favorire l'iniziativa privata riconducibile al tema della smart city possa comportare discriminazioni (si pensi alla messa a disposizione di beni pubblici il cui uso ha carattere di rivalità, spesso necessari per realizzare iniziative smart).
Inoltre, proprio la messa in comune di spazi e di risorse spesso inevitabilmente determina tensioni rispetto alla proprietà spazialmente contigua a quegli spazi: è al riguardo sufficiente pensare alle esperienze delle notti bianche, in cui l'uso degli spazi pubblici da parte dei non residenti si traduce talora in un pregiudizio nei confronti dei residenti.

La smart city, nella misura in cui risulti finalizzata a un obiettivo prevalente (l'inclusione dei cittadini smart attraverso la condivisione), è portatrice del rischio di perseguire l'inclusione soltanto tra chi condivide l'obiettivo, contestualmente generando l'esclusione di chi non aderisce a quel paradigma. Chi non è smart (o, peggio, che non è riconosciuto tale dagli altri), chi non usa tecnologie, chi non segue l'idea della condivisione corre il pericolo di restare fuori dal perimetro di quella comunità intelligente, che tende a imporsi come modello generalizzato.
In questi casi, il diritto può aiutare, richiamando l'esistenza di principi e di istituti quali la libertà, la proprietà, la necessità di garantire uno sviluppo sostenibile (non essendo tale quello sbilanciato irragionevolmente a favore di un interesse di parte), oltre al fatto non trascurabile che gli enti territoriali debbano farsi carico degli interessi di tutti. Infine, posto che la smart city non è un valore in sé ma rappresenta un mezzo per garantire un miglioramento della qualità della vita dei cittadini, il diritto può fornire un supporto concettuale all'individuazione di una pretesa, giuridicamente rilevante, dei cittadini medesimi a livelli di qualità della vita elevati.