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Sei azioni per continuare a crescere

, di Massimiliano Bruni - SDA professor si strategia e imprenditorialita'
Nell'agroalimentare, un mercato da 250 miliardi, l'export gioca un ruolo di forza. Servono marketing, crescita dimensionale e non si deve temere l'italian sounding

Nella sua totalità, che si estende dalle produzioni agricole per arrivare alla distribuzione e alla ristorazione, l'agroalimentare italiano vale quasi 250 miliardi di euro, circa il 16% del pil. Sul piano delle sole trasformazioni industriali, si tratta di circa 130 miliardi, il secondo settore manifatturiero, con oltre 6.250 aziende con più di nove addetti.

Massimiliano Bruni

Dopo anni di crescita dei consumi domestici, le imprese del settore fronteggiano ora il loro calo e il 2013 sta confermando la tendenza al ribasso del 2012. Secondo l'Ismea, Istituto di servizi per il mercato agroalimentare, nei primi tre mesi dell'anno l'acquisto di prodotti alimentari nel nostro paese è diminuito del 2,3%, colpendo in misura differente ma generalizzata le diverse categorie di prodotti. In questo contesto spicca la crescita dei consumi di prodotti Bio, in controtendenza e in espansione di oltre il 5%.

Soddisfazioni decisamente maggiori si ottengono dai mercati esteri. Il 2012 ha fatto registrare un'ulteriore crescita delle esportazioni, che hanno raggiunto quasi i 25 miliardi di euro, il 19% del fatturato complessivo, con un aumento del già positivo saldo della bilancia commerciale. Le categorie più importanti per l'export sono vini, mosti e aceto (21% del totale), dolci e confetterie (13%), conserve e composte di frutta e ortaggi (12%), latticini e formaggi (9%), pasta (8%), oli e grassi (7%), carni preparate (5%) e caffè (4%). Questa tendenza positiva è confermata dai primi mesi del 2013, con un +8%.

Se è l'estero dunque la direttrice di crescita più importante alla quale le imprese del settore alimentare devono guardare, non si può non segnalare come i risultati fin qui raggiunti siano però inferiori a quelli di Germania, Francia e Spagna, la cui quota di export è compresa tra il 22 e il 29% del fatturato totale delle imprese del settore.

Affinché la crescita internazionale possa aumentare ulteriormente sono necessari alcuni interventi strategici di non poco conto e decisamente urgenti.

Innanzitutto la consapevolezza che la qualità delle produzioni da sola non è sufficiente e che deve essere affiancata da una superiore capacità di fare marketing dei prodotti e dei brand nostrani, così come occorre rafforzare l'organizzazione produttiva e distributiva per servire mercati lontani e gli operatori della grande distribuzione, che possono favorire la penetrazione di quote di mercato non presidiate in mercati già consolidati e l'ingresso in nuovi mercati.

Secondo, non avere timore dell'italian sounding, il fenomeno per il quale soggetti stranieri immettono sui mercati prodotti che evocano l'Italia pur provenendo da altri paesi e che è stimato in circa 60 miliardi di euro (6 miliardi di contraffazione e 54 di italian sounding, per l'appunto), ma cogliere le opportunità attraverso la valorizzazione delle superiori qualità che il nostro paese spesso esprime, così come hanno saputo fare le aziende della moda.

Terzo, aumentare la dimensione delle nostre aziende con acquisizioni e aggregazioni. Da sempre si parla di fare sistema, a livello nazionale e/o locale, ora diventa una scelta strategica non più differibile.

Quarto, la capacità di bilanciare il presidio di mercati storici (Ue, Usa e Canada) con le opportunità offerte dai mercati emergenti, non solo i Bric, ma anche il Medio e l'Estremo oriente.

Quinto, valorizzare la ricchezza territoriale e la varietà di produzioni senza cadere nel localismo. In Italia ci sono oltre 400 dop, circa un terzo del totale europeo. Se ciò testimonia la ricchezza di tradizioni e di culture che da sempre ci è riconosciuta a livello mondiale, tuttavia rischia di frammentare eccessivamente la nostra offerta e presenza sui mercati esteri.

Infine, ma non meno importante, accrescere le competenze e le logiche manageriali con le quali si affrontano le sfide internazionali. Le piccole dimensioni, spesso richiamate con riferimento alla mancanza di risorse finanziarie e organizzative, sovente si caratterizzano anche per la scarsa cultura manageriale con cui le aziende operano nei diversi mercati.