Scelte di... fondo
L'evidente calo del peso delle immobilizzazioni materiali sull'attivo di bilancio delle imprese italiane registrato dagli anni '70 a oggi, andandosi a sommare agli effetti avuti della crisi economico-finanziaria globale sul sistema bancario in termini di più stringenti criteri di patrimonializzazione e di asset-allocation, ha determinato un impatto sostanziale sulle modalità di gestione del rapporto banca-impresa e, conseguentemente, sullo scenario con cui le imprese italiane che necessitano di risorse finanziarie si trovano a doversi confrontare.
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Denny De Angelis |
Ciò che nel 1970 rappresentava la normale e più diffusa modalità di erogazione di credito, ovvero quella basata sull'utilizzo di garanzie reali quale fattore di mitigazione del rischio, è oggi infatti divenuta un'opzione sempre meno praticabile. Purtroppo e paradossalmente sono proprio le pmi (cuore del made in Italy) e le imprese in crescita quelle che hanno più difficoltà nel trovare dal sistema bancario il sostegno di cui necessiterebbero. Il segmento del private equity (Pe) denominato growth capital può rappresentare una risposta concreta e coerente, ma occorre che sussistano alcuni presupposti. Quando un fondo di private equity che realizza operazioni di minoranza si trova infatti a dover valutare un'opportunità di ingresso nel capitale di un'impresa, gli elementi su cui si basa la decisione sono vari ma in buona misura riconducibili alla presenza di un imprenditore lungimirante, mentalmente aperto e orientato alla crescita e all'internazionalizzazione e di un management capace.
In Italia, data la forte presenza di pmi basate su un modello proprietario e di gestione-governo di tipo familiare, il private equity può però rappresentare una vera opportunità solo se si instaura con l'imprenditore un rapporto di fiducia e di partnership orientato al medio-lungo termine. Senza un feeling umano e professionale e senza un progetto comune, la convivenza nella governance dell'impresa tra la famiglia proprietaria e il fondo di private equity può infatti spesso rivelarsi difficile. E solo un'analoga sensibilità e visione del business possono rendere accettabili quei cambiamenti strutturali, nel management e nella governance, che altrimenti determinerebbero duraturi, costosi e rischiosi malumori e conflitti. Inoltre, la fase propedeutica alla realizzazione di un'operazione di private equity con un'impresa familiare può spesso dimostrarsi ancor più complessa se, prima del contatto con un potenziale investitore di capitale, l'imprenditore e la famiglia proprietaria non hanno fatto al proprio interno delle profonde riflessioni e posto in essere delle azioni (organizzative e legali) volte a chiarire e rendere trasparente il rapporto famiglia-impresa e ad allineare quanto più possibile i vari interessi in gioco sul potenziale imprenditoriale e di business dell'impresa. Nelle imprese familiari il private equity spesso può inoltre configurarsi anche come elemento di supporto e accompagnamento al ricambio generazionale in quanto è, di norma, portatore di un approccio meno emotivo-emozionale ai processi decisionali e di una maggiore meritocrazia. In sintesi, nel caso sussistano tutte queste condizioni, l'ingresso di un fondo di private equity nel capitale di una impresa familiare può contribuire a renderla più solida e a far sì che essa, anche dopo l'uscita del fondo, possa continuare a operare con maggior efficienza ed efficacia rispetto al passato.