Riforma Brunetta: attenzione ai margini di discrezionalità
Il 9 ottobre è stato approvato il decreto legislativo sull'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e sull'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, la cosiddetta riforma Brunetta. Il decreto si applica a tutte le p.a., anche se con alcuni distinguo: alcune previsioni rientrano nella potestà legislativa esclusiva dello stato, altre rappresentano invece principi generali ai quali gli enti territoriali e il Sistema sanitario nazionale devono adeguarsi nel rispetto dei propri specifici ordinamenti.
In particolare rappresentano elementi stringenti le disposizioni in materia di trasparenza, (accessibilità totale all'organizzazione e ai risultati che questa produce); qualità dei servizi, tutela degli utenti e relative modalità di indennizzo; inderogabilità delle disposizioni su merito e premi da parte della contrattazione sindacale; ripartizione tra materie sottoposte alla legge, all'autonoma responsabilità del dirigente e alla contrattazione; disciplina della contrattazione collettiva e integrativa; procedimento disciplinare. Rappresentano invece ambiti di principio ai quali adeguarsi le previsioni in materia di ciclo di gestione della performance e di sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale; responsabilità dell'organo politico di indirizzo nel processo di misurazione e valutazione della performance; criteri per la valorizzazione del merito e strumenti della premialità; progressioni verticali attraverso concorso pubblico con riserva di posti al personale interno non superiore al 50%. Il margine d'autonomia di conseguenza attribuito a regioni, enti locali e aziende sanitarie si muove nella direzione di riconoscerne la specificità non solo a livello aggregato, ma anche singolarmente.Gli enti partono, infatti, da contesti molto differenziati. Solo a titolo esemplificativo si consideri la situazione delle regioni. L'Umbria è la regione con la più alta percentuale di dipendenti di categoria D, i livelli intermedi dell'organizzazione, pari al 56% del personale. Nella regione Abruzzo, gli stessi dipendenti rappresentano una percentuale inferiore alla metà e pari al 20,7%. Per contro l'Umbria presenta un 15,4% di operatori esecutivi, mentre l'Abruzzo si assesta sul 35,9%. Ancora, la regione Molise ha 13,3 dirigenti ogni 100 dipendenti (che equivale a circa 7,5 collaboratori assegnati) e la regione Puglia 3,5 (circa 29 collaboratori assegnati).Con una differente angolatura, sempre il Molise è al primo posto per numero di dirigenti ogni 100.000 abitanti (30,62), all'estremo opposto la Puglia (2,65) e la Lombardia (2,64).Ma la differenza non la fanno solo i numeri. Enormi sono le disomogeneità in tema di qualità degli organici, politiche del personale, assetti organizzativi, cultura e valori, stato di avanzamento dei processi di modernizzazione.Il mix di tutti questi elementi contribuisce a delineare situazioni diversificate che imporranno agli enti azioni e velocità di adeguamento diverse. Ben venga dunque una norma, ferma sui principi generali e sulla definizione dell'architettura di massima del sistema di pubblico impiego, che lasci comunque agli enti margini di adattamento in funzione delle proprie specificità e della propria storia. Sempre che stimoli gli enti più arretrati ad accelerare e non ostacoli il consolidamento di quanto di buono fatto dagli enti più evoluti.