Questione settentrionale? Sì grazie
Che la questione settentrionale fosse tema tutt'altro che sopito era evidente: il risultato elettorale della Lega, che ha vinto a mani basse al Nord sfiorando in alcune zone il 50% dei consensi, non ha fatto che riproporlo con forza. E se l'attualità spinge la politica a interrogarsi sulle implicazioni del voto, gli economisti sottolineano che, forse, è lo stessa evoluzione del capitalismo padano e il suo legame col territorio, al di là delle soluzioni di politica economica proposte negli anni, che non è stato compreso a dovere. Trasformazioni, e relative ricadute sull'ambiente sociale, che sono state messe in evidenza ieri durante il seminario "Esiste ancora una questione settentrionale?", organizzato in Bocconi dal Centro di ricerca EntER sull'imprenditorialità e gli imprenditori.
"In Italia, in 150 anni, la questione territoriale non è ancora stata risolta", commenta Giuseppe Berta, docente di storia economica in Bocconi e curatore dell'ultimo numero degli Annali della Fondazione Feltrinelli dedicato al tema. "Il territorio non è stato visto come una ricchezza, bensì come una limitazione alla potenza dello stato. È questa la vera sfida: pensare a una forma di governo più flessibile e che attui una politica economica che non tenti di disciplinare tutto e tutti". Spetta dunque alla classe politica trovare le giuste mediazioni tra le istanze locali e il governo centrale, ma questo si può fare solo si è chiaro dove stia andando il capitalismo del Nord-Est. "Questo è un fenomeno che non è nato nella grande impresa, ma nei territori di margine, nelle vallate", spiega Aldo Bonomi, fondatore del Consorzio Aaster, l'associazione degli agenti di sviluppo del territorio. "Lo sradicamento delle piccole comunità ha provocato un senso di spaesamento e ciò ha anche provocato il crollo dell'impianto fordista della produzione. Per la Lega è stato dunque terreno fertile, ma oggi il capitalismo padano si è ulteriormente evoluto e si è ristrutturato in enormi piattaforme produttive, che in Lombardia significano mezzo milione di aziende e 2 milioni di addetti".
Secondo Bonomi, dunque, il tempo di "Roma ladrona", sarebbe ormai passato nell'ottica degli imprenditori del Nord, "che infatti non sono più quelli di trenta anni fa, ma persone che oggi non hanno paura di aprire filiali in giro per il mondo". Rimane tuttavia un problema di modernizzazione incompiuta che non può essere affrontato senza un adeguato governo politico. Ciò che va fatto "è quotare il territorio al mercato della politica" e mettere definitivamente da parte il vecchio paradigma della lotta di classe in favore di quello che si fonda "sul conflitto tra flussi e territorio".
Innegabile è poi per Giuseppe Turani, editorialista de la Repubblica, che il Nord-est italiano rappresenti la parte più competitiva e consapevole del paese: "Una parte che è ogni giorno un po' più simile all'Europa e un po' meno al resto dell'Italia". E pur facendosi promotrice delle istanze degli imprenditori del Nord, Turani non è convinto che la Lega li rappresenti del tutto: "E' molto vicina ai loro problemi, ma non li capisce del tutto", spiega il giornalista. "Non ha un'idea chiara di ciò che serva al territotorio e non ha un progetto strategico. D'altronde, è anche vero che neanche gli altri partiti ce l'hanno". La politica, dunque, sembra avere snobbato la questione, mentre è a questa "che spetta fare da mediatore e trovare le soluzioni".
E se per Berta è necessario "ricomporre il mosaico del paese, visto che la questione settentrionale è spia di quella territoriale", per Bonomi l'analisi futura non può prescindere dallo studio del rapporto tra capitalismo manifatturiero e capitalismo delle reti, ossia del sistema bancario, delle conoscenze, delle infrastrutture e dei flussi migratori. "Non si possono volere gli stranieri in fabbrica di giorno", chiosa, "e organizzare le ronde di notte".