Quando una legge italiana non va in fumo
A inizio anno la Francia e otto Lander tedeschi si sono allineati a Spagna e Inghilterra nell'introdurre il divieto di fumo nei luoghi pubblici e può fare un strano effetto pensare che abbiano guardato all'Italia come caso esemplare. In effetti, la notizia nel gennaio 2003 che l'Italia sarebbe stato il primo grande paese europeo ad introdurre un esteso e severo divieto fu accolta con molta sorpresa e scetticismo. La sorpresa aumentò quando la legge fu prima approvata e poi, due anni dopo, implementata con successo. Il caso infatti propone una serie di lezioni importanti sulle dinamiche dell'approvazione e implementazione di una legge così delicata, analizzate in un paper di Valentina Mele del Dipartimento di Analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi e Amelia Compagni del Cergas Bocconi.
Un primo passo importante fu di scegliere di arginare il più possibile la controversia intorno alla proposta di intervento. Traendo importanti lezioni dal fallimento del tentativo del precedente Ministro della Salute, Umberto Veronesi, nel far approvare una legge anti fumo, nel 2001 il Ministro Girolamo Sirchia partì infatti con una proposta incentrata non sul concetto di divieto di fumo ma sulla protezione dei non-fumatori. Tale approccio, spiegano le ricercatrici della Bocconi, fu fondamentale per tamponare la polemica sulla difesa dei diritti individuali nel dibattito.
"Le motivazioni per la proposta si basarono anche su principi costituzionali. L'articolo 32 dichiara che lo stato deve tutelare il diritto alla salute anche in quanto interesse della collettività," spiega Lorenzo Cuocolo, docente di diritto pubblico alla Bocconi "Quella italiana è stata una delle prime costituzioni a prevedere tale diritto come compito pubblico."
L'opera di creare consensi intorno alla proposta proseguì con una serie di pubblicazioni e convegni scientifici sui danni del fumo. Un altro input positivo fu dato dalla pubblicazione di sondaggi che mostravano che l'83% della popolazione italiana era favorevole a tale divieto. Tali sondaggi furono importanti anche per convincere lo stesso esecutivo e poi il parlamento del consenso esistente. Infine, per mitigare le proteste dei gestori di locali, furono distribuiti i dati sull'impatto economico dei divieti di fumo in California e New York che dimostravano che non c'era stato alcun effetto negativo.
Avendo iniziato a costruire un ampio consenso, con questa azione di moral suasion, Sirchia passò al passaggio legislativo, ragionando sulla miglior forma per la proposta di legge. Propose di introdurre un singolo articolo all'interno di una più ampia legge sulla pubblica amministrazione allegata alla finanziaria, con la definizione dei dettagli su applicazioni della legge e sulle sanzioni assegnati alla Conferenza Stato-Regioni in una fase successiva. "Il Ministro era convinto che includerlo in un più ampio progetto di legge avrebbe minimizzato il conflitto e il dibattito parlamentare," spiegano Compagni e Mele.
"In effetti le leggi finanziarie ormai contengono materie di tutti i generi," conferma Cuocolo, "perché usate come strumento per fare passare in modo indenne le leggi e norme delicate ed esposte a diatribe."
"C'era spazio per una contesa sulla competenza di tale legge dato che dopo la riforma costituzionale del 2001 la tutela della salute era materia concorrenziale fra stato e regioni," spiega Cuocolo. "Ma l'articolo 117 della costituzione dice che la garanzia dei livelli essenziali dei diritti sociali spetta allo stato e l'articolo 2 della legge dichiara infatti che essa si pone il fine di garantire i livelli essenziali del diritto alla salute."
La legge fu così approvata nel Dicembre 2002 e pubblicata nel Gennaio 2003 con un margine di 2 anni fino alla sua entrata in vigore.
Il rimando a questa fase della definizione dei dettagli sulle sanzioni e le sale adibite ai fumatori aveva sì facilitato il passaggio legislativo ma rianimò anche le critiche e proteste, soprattutto da parte dei gestori in concerto con la lobby del tabacco. Il Ministro controbatté con un'intensa ed ampia campagna mediatica sui benefici del vivere sano. Rafforzò poi il lavoro istituzionale delle politiche anti-tabacco con la creazione di due enti, il Gruppo Tecnico Anti-Tabacco e il Centro per la prevenzione e controllo delle Malattie, con importanti compiti di coordinamento tra stato e enti locali e di implementazione di politiche di prevenzione.
L'alto tasso di consenso fu così difeso e la legge entrò in vigore il 10 gennaio 2005 con gestori e pubblico che si sono attenuti al nuovo divieto e con sondaggi che hanno confermato il parere favorevole da parte della popolazione italiana.
"La strategia di basso profilo, nella sfera della legge e nell'impatto legislativo, fu sicuramente determinante per giungere all'approvazione," concludono Mele e Compagni. "Nella fase dell'implementazione fu poi fondamentale continuare a costruire un ampio consenso trasversale."