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Quando poverta' significa anche cattiva salute

, di Conchita D'Ambrosio e Simone Ghislandi - research fellows del Centro di ricerca Econpubblica della Bocconi
Non solo la privazione assoluta, ma anche quella relativa ha conseguenze negative sul benessere individuale

La relazione fra reddito e salute è da circa cinquanta anni argomento di analisi, all'incrocio fra epidemiologia e scienze sociali. Inizialmente, l'interesse si è concentrato sulla ormai acquisita relazione fra privazione assoluta (non essere, cioè, in grado di provvedere ai più basilari bisogni, come il cibo o l'abitazione) e cattiva salute. Oggi, ci si interroga sull'esistenza e sulla natura di una possibile relazione con la privazione relativa (la mancanza solo in alcuni individui di risorse a cui i più hanno accesso). Alcuni studi epidemiologici hanno infatti evidenziato che, anche nei paesi Ocse, la correlazione fra ineguale distribuzione del reddito e bassi livelli di salute è forte e replicabile in molti contesti.

Lo studio di questa relazione è importante sia dal punto di vista della ricerca pura che delle politiche sociali che ne potrebbero derivare. In un'ottica più accademica, la correlazione fra povertà e salute è lungi dall'essere universalmente accettata ed è argomento di studio. Le questioni ancora aperte sono molte. Ne evidenziamo due.Innanzitutto, è ancora acceso il dibattito riguardo ai principali meccanismi alla base di tale correlazione. In questo senso, c'è chi vede la povertà come legata alla cattiva salute solo attraverso la mediazione di altri fattori, quali il fumo, l'alcool e l'obesità, e chi, invece, sostiene che la povertà relativa e la disuguaglianza sociale influiscono direttamente sulla salute degli individui attraverso una serie di reazioni neuroendocrine volte a generare negli individui in condizioni di svantaggio relativo forme più o meno acute di stress cronico. Anche se non è questo il luogo per discuterne, sebbene sembri che gli individui relativamente poveri mostrino effettivamente alti livelli di stress, soprattutto se bambini, la spiegazione di un legame indiretto o mediato pare ricevere al momento più consensi dalla comunità scientifica.In secondo luogo, non è chiaro quale sia il tipo di povertà relativa maggiormente dannosa per la salute. Per esempio, quanto povero deve essere un individuo affinché il suo stato di privazione abbia conseguenze significative sulla salute propria e dei propri figli? E quanto deve persistere lo stato di povertà relativa? È sufficiente un periodo di disoccupazione, magari dovuto a una cattiva congiuntura economica, o ci vogliono anni? Proprio per analizzare più a fondo questo aspetto, di recente abbiamo avviato un progetto di ricerca anche all'interno di Econpubblica, con l'obiettivo di fare luce sulle forme di povertà a maggiore impatto sulla salute individuale. In questo senso, l'obiettivo di breve periodo della nostra ricerca sarà proprio l'analisi empirica della relazione fra povertà relativa, persistenza dello stato di privazione individuale e stato di salute individuale, partendo dall'analisi nei paesi Ocse. Una conoscenza più approfondita del legame povertà-salute è auspicabile anche con finalità di politica economica. Se la privazione relativa ha effetti diretti sulla salute, allora politiche volte a ridurre la disuguaglianza di reddito sarebbero sufficienti anche per migliorare le condizioni di salute dei più poveri.In caso contrario, l'interazione fra reddito e comportamenti rischiosi andrebbe affrontata in modo più completo, affiancando a politiche reddituali anche approcci volti a modificare le abitudini e le scelte degli individui. Concludiamo osservando come la struttura del sistema sanitario abbia un importante impatto sulla relazione povertà-salute, con i sistemi universalistici pubblici maggiormente in grado di proteggere gli individui a rischio. Un elemento da tenere in considerazione quando si pensa ai tagli nella spesa sanitaria pubblica.