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Prima la democrazia-uovo o lo sviluppo-gallina?

, di Renata Targetti Lenti - ordinario all'Universita' degli studi di Pavia e docente a contratto di economia politica alla Bocconi
A seconda che si stia con Sartori o con Amartya Sen, cambia la percezione del nesso di causalità tra fenomeni

A partire dall'inizio degli anni 90, con la fine della guerra fredda e l'avvio del processo di transizione al mercato da parte delle economie socialiste, si è intensificato il dibattito sulle relazioni tra democrazia e sviluppo. Se ne è individuato, non solo a livello teorico, ma anche con riferimento alle politiche di aiuto allo sviluppo, il preciso legame. La tutela dei diritti umani, la lotta alla corruzione, l'efficienza e la trasparenza nella pubblica amministrazione sono stati considerati, insieme alla democrazia, non solo come principi di good governance, ma anche come fattori che possono favorire lo sviluppo economico. Questa posizione costituisce una rottura rispetto alle impostazioni precedenti che sono ben sintetizzate da un'affermazione che ancora si trova sul sito del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti: "Economic development makes democracy possible". Si riteneva, in particolare, che una delle più significative regolarità nella cosiddetta political economy fosse la relazione positiva tra reddito procapite e democrazia. Questa associazione tra reddito e democrazia veniva considerata addirittura come un nesso causale dalla teoria della modernizzazione. A questa impostazione si è contrapposta l'ipotesi che la relazione vada nell'altro senso e cioè che sia la democrazia a favorire la crescita.

Non v'è dubbio che le relazioni tra democrazia e sviluppo siano complesse e ambigue e che sia molto difficile individuare una chiara direzione di causalità. Se si accetta una definizione piuttosto restrittiva come quella di Sartori secondo la quale la democrazia è "un sistema politico caratterizzato dall'esistenza di partiti politici che competono, in cui la maggioranza rispetta i diritti delle minoranze, ed esistono istituzioni che limitano il potere del governo e ne accertano la responsabilità" risulta evidente come il buon funzionamento di queste istituzioni sia possibile solo se il processo di sviluppo sia già stato avviato. Se invece, seguendo Amartya Sen, si estende il concetto di democrazia e di sviluppo, per comprendere in esso non solo le istituzioni di natura strettamente politica ma anche altre caratteristiche rilevanti, è facile mostrare come proprio la democrazia, intesa come governo attraverso la discussione pubblica, nel corso della quale "i valori individuali possono cambiare", favorisca il sorgere delle condizioni necessarie all'avvio di uno sviluppo di natura multidimensionale e cioè dello sviluppo umano. In questo caso, si verificherebbe un'inversione della sequenza sviluppo prima e democrazia poi.

L'esperienza storica, d'altra parte, ha offerto esempi contrastanti e non sempre in linea con le precedenti affermazioni. Nella maggior parte dei casi il passaggio da un sistema autoritario a uno democratico è stato un processo endogeno, che è stato determinato da numerosi fattori storici, culturali e religiosi. Nella gran parte dei paesi in via di sviluppo, la democrazia evolve lentamente dal basso dopo che sia stato raggiunto un livello minimo di sviluppo economico e sociale. Solamente in pochi casi la democrazia è stata importata dall'esterno. L'opinione di alcuni studiosi è che nei paesi più arretrati la promozione della democrazia non sia possibile né desiderabile. L'esperienza della Russia, dei paesi dell'Est, di alcuni paesi dell'America Latina o dell'Africa ha mostrato quanto difficile, se non in molti casi fallimentare, sia stato il tentativo di introdurre la democrazia prima che il processo di sviluppo economico fosse ben avviato. Altri paesi, invece, come Singapore, Indonesia, Corea del Sud, Taiwan, Cina, caratterizzati da governi autoritari, hanno conseguito risultati in termini di crescita del reddito pro capite da considerarsi come un vero e proprio "miracolo economico". La stabilità di governi di tipo autoritario aveva assicurato in questi paesi non solo la stabilità macroeconomica, ma anche l'accumulazione di capitale fisico e umano.