Poca consulenza nei fondi
I dati diffusi a inizio aprile da Assogestioni sulla raccolta netta del sistema fondi nell'ultimo mese confermano una tendenza già osservata nel corso degli ultimi mesi di un ritorno d'interesse nei confronti dell'industria del risparmio gestito. Alcuni dati appaiono particolarmente significativi: i gruppi italiani continuano a detenere l'80,3% del patrimonio; i gruppi esteri archiviano il mese di marzo con flussi prossimi al pareggio; gli investitori affidano i loro risparmi ai gestori di prodotti obbligazionari, flessibili, bilanciati e hedge.
La situazione reale è quella del declino prospettato negli anni della profonda crisi attraversata dall'industria italiana del risparmio gestito o quella del recupero messo a segno nel periodo più recente? Ho sempre ritenuto che il massiccio spostamento registrato negli ultimi anni verso prodotti più opachi e complessi dei fondi comuni non fosse conciliabile con l'ipotesi secondo cui il deflusso fosse funzione delle performance insoddisfacenti o dei costi elevati. Mi insospettiva in modo particolare il quasi contemporaneo spostamento verso determinate forme di impiego del risparmio di tutti i segmenti di clientela. A giudicare dalle caratteristiche dei fondi comuni privilegiati dalla clientela nel mese di marzo non mi sembra che siano cambiate le logiche commerciali (prodotti venduti con la logica del budget e non della consulenza al cliente) e ritengo che quasi tutti i problemi sui quali si era concentrato il dibattito (la disparità di trattamento fiscale, la reverse discrimination generata dalla severità delle regole di trasparenza rispetto ad altre forme di investimento e i conflitti di interesse derivanti dalla mancata separazione degli assetti proprietari tra produzione e distribuzione) siano tuttora presenti. Ritengo che altri aspetti di fondamentale importanza risiedano nella convenienza delle reti distributive a vendere prodotti più remunerativi nell'immediato e nella mancanza di un adeguato livello di cultura finanziaria. La logica del budget di prodotto porta a negare il principio della diversificazione tendendo a concentrare i portafogli dei clienti ed esalta la ricerca spasmodica del timing perfetto. Al fine di evitare che la ripresa più recente sia un fuoco di paglia penso si debba fare tesoro del monito del presidente della Consob che ammoniva la comunità finanziaria a non ritenere "sufficiente attenersi alla forma delle norme" invitandola a rinnovare "il modello di relazione con i risparmiatori, per contrastare la crescente e spesso motivata diffidenza verso un intero settore". La Mifid ha chiaramente distinto tre livelli di servizio che possono essere offerti alla clientela: mera esecuzione (execution only), collocamento e consulenza. Si è provveduto a disciplinare il rapporto tra distributore e cliente più che quello tra distributore e produttore, lasciando sullo sfondo un problema che è da ostacolo alla piena applicazione della normativa in oggetto.Se infatti uno stesso prodotto può essere venduto nei tre diversi regimi citati è chiaro che il costo implicito nel prodotto dovrebbe essere tarato sul livello di servizio più basso (execution only) e non su quello a maggior valore aggiunto (consulenza) lasciando aperta la possibilità per il distributore di far pagare al cliente commissioni aggiuntive coerenti con il livello e la qualità del servizio offerto. In termini concreti questo significherebbe aprire la sottoscrizione delle classi istituzionali anche ai clienti retail eliminando la prassi della retrocessione della commissione di gestione. Una distinzione più esplicita tra "commissioni di gestione" e "commissioni di distribuzione" consentirebbe di aumentare la trasparenza e indurrebbe produttori e distributori a un miglioramento degli standard di servizio offerti.