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Piu' che ai diritti si pensa al rimpatrio

, di Matteo Winkler - professore a contratto di diritto internazionale alla Bocconi
Le discipline nazionali di recepimento della direttiva europea in tema di immigrazione, pur se molto diverse, sembrano dipendere più da necessità di natura gestoria che di tutela delle persone

La tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 ha rimesso in discussione l'attuale regolamentazione in tema di immigrazione. Si afferma da più parti la necessità di abrogare o modificare l'assetto normativo attuale, mentre sul cosiddetto "reato di clandestinità" si rivolge il fuoco incrociato di più partiti. Alcuni restano ancora convinti che dovrebbe essere l'Europa ad occuparsi del problema.

Matteo Winkler

Va al riguardo ricordato che nel 2008 l'UE ha adottato la direttiva rimpatri, che fornisce una disciplina uniforme sul rimpatrio degli stranieri irregolari. Essa vorrebbe rappresentare un bilanciamento tra l'esigenza di rendere più efficienti le procedure di rimpatrio e la necessità di salvaguardare i diritti degli immigrati. Il bilanciamento è però tutto sproporzionato a favore della prima, tanto che la direttiva è stata battezzata da molti "direttiva vergogna". L'Italia ne ha dato attuazione con il D.L. 89/2011, poi convertito in legge, peraltro in gran ritardo e in tutta fretta a seguito di una sentenza negativa della Corte Ue.

La direttiva stabilisce un canale preferenziale rappresentato dalla partenza volontaria dello straniero entro un termine congruo (prorogabile) che va da 7 e 30 giorni. La partenza volontaria può essere esclusa solo se vi è rischio di fuga, se l'immigrato ha presentato domanda di soggiorno in modo fraudolento, oppure se l'immigrato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico.

In assenza di altre misure meno coercitive, lo straniero può essere soggetto a trattenimento presso un centro di permanenza temporanea (cpt) per 6 mesi al massimo, eventualmente prorogabili una sola volta per altri 12 mesi. Il trattenimento, che deve avvenire in luoghi appositi e mai, salve situazioni di emergenza, nelle carceri, non può in nessun caso superare i 18 mesi, termine massimo consentito peraltro solo in caso di resistenza da parte dello straniero o di impossibilità di procurarsi i documenti necessari per il rimpatrio.

Si può dubitare dell'effettiva proporzionalità di questi termini. Negli altri paesi europei il periodo di trattenimento oscilla tra estremi opposti. Il più breve è quello previsto in Francia, pari a 32 giorni, talmente breve che il governo ha dovuto negoziare accordi ad hoc con altri Stati che facilitassero la trasmissione dei documenti necessari; tale termine è estensibile fino a 6 mesi, ma solo se l'interessato è stato condannato per reati di terrorismo. L'originaria estensione (ulteriore) a 18 mesi contemplata dalla legge di attuazione della direttiva è stata dichiarata incostituzionale dal Conseil constitutionnel, che l'ha definita un "rigore non necessario". Gli altri paesi europei prevedono periodi di trattenimento brevi, come l'Irlanda (8 settimane), la Spagna (60 giorni), il Lussemburgo (4 mesi), o più lunghi come il Belgio (8 mesi), la Germania (18 mesi), oppure illimitati, come il Regno Unito, la Danimarca e la Finlandia.

Queste diverse discipline nazionali sembrano dipendere più da preoccupazioni di natura gestoria e di grandi numeri (la Spagna di Zapatero ha espulso 370.000 stranieri in 4 anni) piuttosto che dall'esigenza di assicurare che il trattenimento sia il più breve possibile o di ricorrere a misure alternative, come impone la direttiva. Non pare inoltre esservi alcun nesso tra il numero stimato di stranieri irregolari presenti in un paese e il periodo massimo di trattenimento ex lege, numero che è simile in Italia, ove tale periodo è pari a 18 mesi, e in Francia, ove invece è di 6 mesi. Nella legge italiana, infine, il canale della partenza volontaria non è affatto considerato preferenziale, come impone la direttiva, ma piuttosto accidentale in relazione al rimpatrio forzato, che rimane comunque il procedimento principe.

La direttiva stabilisce che se il trattenimento non è più necessario, lo straniero va rilasciato. Nulla si dice sullo status di questo "immigrato fantasma", colpito da espulsione ma mai espulso. Considerato che, come scrive il filosofo francese Étienne Balibar, gli immigrati costituiscono il ventinovesimo stato dell'Ue, sarebbe ora di occuparsene a tutti i livelli, senza pregiudizi securitari o prese di posizione massimaliste.