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Perché l’importante non è partecipare

, di Stefano Liebman - direttore della Scuola di giurisprudenza
Lavoro e gestione comune. Certe idee a volte ritornano, ma presto scompaiono

Come il più classico dei fiumi carsici, che riemerge a tratti in superficie per poi tornare sottotraccia, il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è tornato all'attenzione del dibattito politico-sindacale su iniziativa del governo che, negli auspici dello stesso Giulio Tremonti, ha individuato nel rafforzamento del coinvolgimento dei dipendenti nelle sorti finanziarie e gestionali delle imprese uno degli strumenti utili al superamento della crisi.

La questione è in realtà al centro del confronto europeo dagli anni '60, ma il processo di armonizzazione del diritto societario dei diversi paesi dell'Ue ha finito con l'intrecciarsi con le questioni più tipicamente lavoristiche a partire dagli anni '90, dopo l'adozione della Carta dei diritti sociali del 1989. Del 1994 è la direttiva sui Comitati aziendali europei, con la quale il Consiglio dell'Unione ha fissato le condizioni minime che devono essere approntate dai singoli ordinamenti nazionali per favorire l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi d'imprese di "dimensione comunitaria". Il cambio di marcia si determina, al passaggio del secolo, con l'adozione del regolamento sullo statuto della società europea (Se) e della direttiva che lo completa per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. Oggi, unico esempio rilevante di società europea è Allianz Se. Ad esso hanno fatto seguito una serie di direttive che hanno completato il quadro e il regolamento sullo statuto della società cooperativa europea (Sce). Accanto a questa attività normativa, la Commissione ha poi svolto una intensa attività di ricognizione, sfociata nel 2002 in una comunicazione sul rafforzamento di un quadro utile alla promozione della partecipazione finanziaria dei lavoratori, considerata strumento per il raggiungimento degli obbiettivi di sviluppo della strategia di Lisbona.Rispetto alle ambizioni iniziali, la politica europea in materia di partecipazione dei lavoratori ha pagato un inevitabile tributo al realismo e i "diritti di partecipazione" sono degradati al mero coinvolgimento, parola chiave che consente comunque alle imprese di optare per le forme più leggere di condizionamento delle proprie scelte strategiche: il filo rosso che ha consentito solo nell'ultimo decennio il raggiungimento del consenso necessario per l'adozione di queste direttive è stato il condiviso riconoscimento della irriducibile e strutturale alterità degli interessi di capitale e lavoro: fatto salvo il principio di non arretramento delle tutele laddove esse già esistono (Germania, Olanda), l'intervento europeo ha finito con l'essere funzionale al mero rafforzamento dei diritti di contrattazione collettiva, senza significative innovazioni strutturali nel sistema di governance societario. Quanto all'Italia si è rafforzata la sensazione di un declino dell'idea partecipativa nella sua accezione forte che presupporrebbe un intervento legislativo che non c'è stato e non sembra francamente alla porte, nonostante il mutato atteggiamento sindacale ed il ricorrente richiamo alla funzione sociale dell'impresa contemporanea. Al contrario, le scelte compiute dal legislatore italiano nell'ambito della riforma societaria (2003), pur avendo eliminato quello che era considerato un ostacolo formale allo sviluppo di forme istituzionali di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese (con la novità della possibilità di optare per il 'modello dualistico'), si è ben guardato da ogni apertura alla presenza dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza.Quanto alla partecipazione finanziaria, i ristretti varchi forniti dalle previsioni legali in materia sono ben lontani dal fornire strumenti di effettiva partecipazione dei lavoratori alle scelte d'impresa: tanto più in un sistema nel quale il controllo effettivo del governo societario è, tramite i patti di sindacato e i sapienti incroci di partecipazioni azionarie, nelle mani di soggetti titolari di pacchetti di controllo assolutamente inarrivabili tramite qualsiasi strumento finanziario a disposizione dei lavoratori.