Pagati per i risultati. La riscossa dei fannulloni?
Il ministro Brunetta ha riportato alla ribalta politica e mediatica la produttività degli impiegati pubblici. Alla vigilia dell'adozione dei decreti attuativi della legge delega 'anti-fannulloni', guardare a cosa accade nel mondo può ridare prospettiva a un dibattito nazionale spesso di corto respiro e appiattito su stereotipi.
PAHRC (Public Administration Human Resource Community) di Sda Bocconi ha svolto una ricognizione dei trend in atto a livello internazionale. Una prima tendenza emersa dalla ricerca è la diffusione dei sistemi per misurare la performance degli impiegati pubblici e collegarne stipendi e carriere ai risultati. Nel 93% dei paesi Ocse, i dipendenti pubblici ricevono una valutazione annuale. Nell'80%, salari e promozioni sono collegati alla performance.
Un secondo trend è l'introduzione, in un numero crescente di paesi, di vincoli che obbligano le amministrazioni a premiare solo i più bravi. I nostri enti pubblici hanno iniziato a valutare e incentivare la produttività dei dipendenti più di 25 anni fa. Il fatto che nel dibattito attorno alla riforma Brunetta queste pratiche risuonino ancora come un'assoluta novità la dice lunga sul modo in cui sono state finora applicate. Decenni di egualitarismo ne hanno depotenziato l'effetto meritocratico. Molti dei nostri enti si trovano a gestire un armamentario di strumenti sofisticati ma spuntati. Come evitare che la quasi totalità dei dirigenti pubblici continui a ricevere la valutazione massima? O che i premi siano distribuiti a pioggia, senza distinzione tra meritevoli e fannulloni? La soluzione adottata da un numero crescente di paesi Ocse è di 'legare le mani' alle amministrazioni, obbligandole a premiare solo i migliori. In Germania, non più del 15% dei dipendenti può ricevere il premio di produttività. Negli Stati Uniti, il Presidential Rank Award of Distinguished Executive (pari a circa il 35% dello stipendio annuale) è attribuito a un dirigente federale su 100. In Canada, non più del 20% degli impiegati può ricevere la valutazione massima e almeno il 5% deve ricevere una bocciatura. Un meccanismo simile è adottato in Svizzera, dove le valutazioni devono distribuirsi secondo una curva normale.
Terza tendenza è che il legame tra performance e ricompense è più stretto nei paesi in cui i singoli enti hanno un'elevata autonomia nella gestione del proprio personale. Questa relazione funziona solo se all'autonomia corrisponde una forte responsabilizzazione delle amministrazioni sui risultati. In assenza di meccanismi di libero mercato, ci sono due modi per creare la necessaria pressione sugli enti. Il primo è metterli in competizione tra loro, ma non per tutte le attività pubbliche questo è possibile. Il secondo è garantire la trasparenza sui livelli di performance, dando voce e potere di scrutinio ai cittadini. Come testimoniato dalle migliori esperienze internazionali, internet può giocare un ruolo chiave al riguardo.
All'inizio di questa nuova stagione di riforma del pubblico impiego, è importante non sovraccaricare di false aspettative gli strumenti che verranno introdotti. Misurare e premiare la performance non serve a stanare i fannulloni. Uno studio dell'Institute of Personnel and Development evidenzia che premi e incentivi stimolano i dipendenti migliori a fare ancora di più, mentre l'effetto motivante sugli impiegati poco performanti è assai limitato. D'altra parte, non è su questi ultimi che gli enti devono investire. L'obiettivo deve essere, piuttosto, fare emergere i meritevoli. Il successo della riforma Brunetta si giocherà sulla capacità di guidare la riscossa dei bravi impiegati pubblici.