Oltre gli stereotipi e l'idea del male necessario
In Italia esiste da tempo un sistema che stabilisce le regole per l'accesso delle persone diversamente abili al mondo del lavoro: la legge 68 del 1999 definisce chi sono le persone disabili che possono accedere al sistema, stabilendo le modalità per accedere al mondo del lavoro attraverso il cosiddetto "collocamento mirato" nel rispetto delle potenzialità lavorative.
Ciò nonostante il tema del rapporto delle persone diversamente abili con il mondo del lavoro rimane indubbiamente molto critico. Due le evidenze cruciali che emergono dal confronto diretto con i diversamente abili e con chi, a diverso titolo, si occupa del loro inserimento e della loro gestione nel mercato del lavoro: selezionatori aziendali, responsabili risorse umane, uffici per il collocamento disabili, associazioni di categoria dei datori di lavoro, consulenti del lavoro, associazioni e cooperative dei disabili. La prima è che esiste uno stigma (Goffman, 1963) che le persone disabili si "sentono addosso", che alimenta la diversità nella percezione del sé e che sembra accentuata nell'ambito di alcuni contesti organizzativi. Secondo Goffman, quando la nostra mente conferisce a una persona un attributo non desiderabile (definito anche come mancanza, handicap, limitazione), la declassa da persona "completa" a persona "segnata". Questo meccanismo fa sì che le persone disabili diventino oggetto di "stigma" risultando così implicitamente discriminate dai contesti lavorativi, per quanto riguarda sia l'ingresso nel mercato del lavoro, sia le eventuali successive fasi di inserimento, di gestione e sviluppo. La seconda riflessione, strettamente collegata con la precedente, afferisce alle modalità con cui l'organizzazione si attrezza per inserire e gestire le persone diversamente abili al suo interno. I risultati di una analisi empirica condotta dall'Osservatorio sul diversity management della SDA Bocconi, attraverso la somministrazione alle aziende italiane di un questionario, hanno dimostrato che le prassi organizzative in grado di promuovere l'integrazione della persona diversamente abile non sono ancora diffuse in modo capillare. Per quanto si sia riscontrato un certo avanzamento in alcune pratiche di gestione del personale, come il recruitment o la selezione, la gestione della persona disabile sembra ancora un fenomeno demandato alla responsabilizzazione dei colleghi e del gruppo di lavoro, mentre manca una responsabilizzazione formale del top management e incentivi e pratiche coerenti nei sistemi di valutazione che possano assicurare una gestione sostanziale e continuativa della disabilità in un'ottica di valore per l'impresa. Da questo punto di vista è importante sottolineare come la maggior parte delle aziende non riconoscano l'importanza della gestione della disabilità all'interno dei propri valori e del proprio orientamento strategico. La disabilità viene quindi gestita perché imposta per norma, in modo episodico e frammentato e con prassi ancora piuttosto deboli ed imprecise. Il problema del superamento degli stereotipi nei confronti della disabilità non ha ancora di fatto ricevuto un'attenzione e interventi organizzativi sufficienti, nonostante il problema della stereotipizzazione della persona disabile sia uno dei maggiori ostacoli al suo inserimento nella vita lavorativa. La nostra indagine conferma che i passi da compiere sono nella direzione della creazione di un ambiente organizzativo permeato dai valori della fiducia, della cooperazione, del commitment e, in particolar modo, in grado di supportare la responsabilizzazione formale della gestione della disabilità in un ottica di costruzione di valore sia per l'impresa che per la persona. Quello che emerge è invece un quadro dalle tinte fosche: la persona con disabilità nelle organizzazioni viene considerata come "male necessario" e la possibilità di realizzare azioni specifiche per valorizzarne le capacità residue viene generalmente lasciata sullo sfondo.