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Ok, siamo sicuri che il prezzo dell'opa sia giusto?

, di Marco Ventoruzzo - ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici
Il recepimento della XIII direttiva europea in materia di offerta pubblica di acquisto e la difficile arte di bilanciare contendibilità delle imprese e diritti degli azionisti di minoranza

Se è vero che «il capitalismo è l'istituzione che separa gli sventati dal loro denaro», la regolamentazione delle offerte pubbliche d'acquisto dovrebbe consentire di separare «gli sventati dal controllo d'impresa». La disciplina dell'opa incide infatti sul grado di contendibilità delle società quotate, ma deve anche assicurare un'adeguata tutela degli azionisti di minoranza. Questi obiettivi sono talvolta in tensione tra loro: basti pensare agli obblighi informativi imposti all'offerente, che possono fargli scoprire anzitempo le proprie carte, scoraggiando così i takeover. Dove pongono il punto di equilibrio tra queste esigenze i legislatori europei e quello italiano?

La domanda è di grande attualità perché il 9 novembre il Consiglio dei ministri ha finalmente approvato il decreto legislativo con cui si recepisce in Italia la XIII direttiva in materia di opa, modificando profondamente il Testo unico della finanza del 1998. Tra le novità una, in particolare, consente di cogliere in modo immediato, quasi matematico, la questione del necessario compromesso tra efficienza del mercato del controllo e tutela dei piccoli investitori: il prezzo dell'opa obbligatoria.

Chiunque acquisti una partecipazione superiore a una determinata soglia deve lanciare un'offerta sulla totalità delle azioni con diritto di voto. La soglia, che rappresenta una sorta di presunzione di controllo, è fissata dai vari legislatori europei intorno al 30%. Le percentuali variano dal 30% previsto, oltre che in Italia, in paesi come Austria, Germania, Olanda, Regno Unito, Spagna; al 33,33% adottato in Francia, Lussemburgo, Grecia; a soglie superiori pari al 40% (riscontrabili nell'Europa orientale e in paesi ex sovietici, ad esempio Repubblica Ceca, Lettonia e Lituania) e, seppur raramente, ancora più elevate. In pochissimi ordinamenti l'acquisto di una partecipazione inferiore al 30% fa scattare l'opa: è il caso dell'Ungheria, dove l'obbligo sorge al superamento del 25%, ma solo se nessun altro socio detiene una quota di azioni superiore al 10%; e della Slovenia.

L'offerta totalitaria ha due finalità: da un lato, assicurare che anche gli azionisti di minoranza beneficino, almeno in parte, del "premio per il controllo" riconosciuto al precedente socio di maggioranza o a pochi grandi soci; dall'altro, quella di garantire una via d'uscita, a un prezzo equo, agli investitori che non intendano restare soci dopo il cambio di comando.

Per realizzare queste finalità la legge impone che l'offerta sia lanciata a un prezzo minimo. L'art. 106 del Testo unico del 1998 stabiliva che tale prezzo fosse la media aritmetica tra il prezzo più alto pattuito dall'offerente e il prezzo medio ponderato di mercato nell'anno precedente il superamento della soglia del 30%. Se, ad esempio, il prezzo medio di mercato era pari a 9 euro, ma fuori mercato l'acquirente aveva pagato le azioni del vecchio socio di controllo 14 euro, riconoscendogli un premio rispetto ai corsi di borsa, a tutti gli azionisti doveva essere proposto un prezzo almeno pari a 11,5 euro. La XIII direttiva fissa il prezzo minimo dell'opa al livello della somma più elevata corrisposta: nell'esempio precedente, non meno di 14 euro per azione. Se si vuole un caso reale, si pensi che se la celebre opa lanciata nel 2005 dalla società francese Edf su Edison fosse stata fatta con le nuove regole, il corrispettivo globale offerto sarebbe dovuto essere superiore di circa 418 milioni di euro, ossia oltre il 17% in più: tanto da sovvertire la convenienza dell'operazione.

L'obiettivo è quello di assicurare un migliore trattamento degli azionisti di minoranza. Non è però affatto certo che questo risultato sia sempre raggiunto. Rendendo più costosa l'offerta si possono disincentivare le acquisizioni, soprattutto se ostili, addirittura proteggendo i gruppi di controllo esistenti. È per timore di questa conseguenza che, negli Stati Uniti, il legislatore federale non ha mai introdotto un obbligo di opa.

È difficile prevedere gli effetti di questa nuova regola sul mercato italiano. Si deve però osservare che essa, originaria del Regno Unito, esportata in altri ordinamenti può rappresentare un caso di eterogenesi dei fini. In quel paese, infatti, la soglia media di possesso azionario necessaria per controllare una società è di circa il 10%. In Italia supera ampiamente il 40%. Ciò significa che in Inghilterra molti passaggi di controllo avvengono senza obbligo di opa; l'opa è invece imposta per consentire il disinvestimento degli azionisti quando un soggetto si accaparra una partecipazione considerata molto elevata, immunizzando la gestione della società dal giudizio del mercato e dal ruolo disciplinante dei raider.

Da noi, al contrario, è sostanzialmente impossibile acquisire il controllo di una società senza passare per un'offerta totalitaria, proprio perché raramente vi è controllo sotto il 30%. La maggiore onerosità dell'operazione, dunque, potrebbe in alcuni casi aiutare a tenere insieme, anziché separare, «sventati e controllo d'impresa».