Ogni benedetta domenica
Più che la punta dell'iceberg dello sport italiano, l'attività professionistica è una sorta di specchio deformante, che ne evidenzia il lato economico, mentre il tessuto è costituito da 70.000 associazioni sportive non profit, e la rivalità, mentre lo sport di base è spesso veicolo di integrazione (anche etnica nell'Italia di oggi). Lo sport, insomma, svolge una funzione sociale che va apprezzata sul territorio più che nei grandi stadi o nei litigiosissimi salotti televisivi.
"Il 90% dello sport è non profit", dichiara Giorgio Fiorentini, direttore del Master in management delle imprese sociali, aziende non profit e cooperative della Bocconi, "una realtà che coinvolge, nella sola Lombardia, 220.000 persone affiliate alle associazioni di podismo e corsa, alle polisportive, agli sci club, alle storiche canottieri, alle squadre di calcio di quartiere".
Se la funzione sociale, e anzi socializzante, dello sport di squadra è intuitiva, non si deve dimenticare che attraverso la pratica e la gestione dello sport, anche individuale, si attiva una serie di relazioni che contribuiscono all'effervescenza del tessuto sociale di un territorio. "Penso alle attività motorie, che hanno comunque una componente sportiva, come quelle degli sbandieratori di Gubbio", racconta Fiorentini. "Sono gestiti da un'associazione che organizza decine di trasferte-spettacolo in tutto il mondo e devolve i ricavi a una casa di riposo di Gubbio. Con la loro presenza in ogni continente contribuiscono, inoltre, alla promozione del loro territorio".
È l'attività delle non profit a mantenere vivi i cosiddetti sport minori, di cui il pubblico si accorge solo in occasione delle Olimpiadi o di qualche Mondiale andato particolarmente bene per l'Italia e a favorire l'inclusione sociale di alcune fasce di popolazione a rischio. Quella dello sport che salva i ragazzi dalla strada non è solo retorica. "Nell'attività sportiva", spiega Fiorentini, "le differenze sociali vengono azzerate e l'unica distinzione dipende dalle capacità di performance. Per non dire delle attività per i disabili, che è proprio il non profit a promuovere. Quasi tutte le maratone e le corse su strada più importanti d'Italia, per esempio, prevedono la partecipazione delle hand-bike e abbiamo tutti presente il basket su carrozzella".
Anche il tanto vituperato calcio professionistico, ad ogni modo, fa leva sulla propria popolarità per farsi ambasciatore di alcuni valori sociali. Anche se gli esempi più strutturati vengono dall'estero, le squadre italiane si stanno muovendo, come esemplificano i casi di Milan e Inter.
"Il caso inglese", sostiene Francesco Manfredi, direttore scientifico dell'International master in management, law and humanities of sport, "evidenzia le capacità dell'associazionismo sportivo di comprendere le modalità e gli strumenti di attivazione e sollecitazione delle reti sociali". La Premier league dimostra il proprio impegno nei riguardi della comunità attraverso dieci programmi specifici, che spaziano dall'invito alla lettura al rafforzamento dei legami tra i club e il proprio territorio, dal finanziamento dell'attività calcistica di base alle campagne contro il razzismo. Tra le squadre britanniche più impegnate nello sviluppo del proprio territorio, Manfredi ricorda gli inglesi del Leeds United.
Il caso più emblematico d'Europa, anche perché legato a un'identità del tutto particolare come quella catalana, è quello della Fondazione Fc Barcellona, alla quale il club calcistico devolve ogni anno almeno due milioni di euro. "La Fundaciò", spiega Francesco Bof, docente della Divisione amministrazioni pubbliche della Sda Bocconi, "eroga e gestisce donazioni per la comunità catalana, gestisce numerosi progetti di solidarietà anche al di fuori della Catalogna, intrattiene rapporti sistematici con gli stakeholder del non profit per consolidare il proprio ruolo in aree di attività come l'entertainment, l'educazione e la cultura". È così che "club lungimiranti e manager qualificati, interpretando lo sport per e nella società, possono innovare creando strumenti e azioni tesi a rispondere in modo integrato a una domanda sociale sempre più ampia, variegata e complessa".
In Italia nel 1996 è nata Inter campus, l'iniziativa del club nerazzurro di avviare alla pratica del calcio i bambini, salvaguardandone il diritto a stare nel proprio ambiente familiare. Gli Inter campus, scuole calcio che abbinano lo sport alla frequenza scolastica e, spesso, a operazioni di vero e proprio recupero sociale, sono presenti in 20 paesi di quattro continenti.
Risale al febbraio 2003 la Fondazione Milan che, con le parole che ne esplicitano la mission, "agisce in Italia e all'estero per soddisfare i bisogni primari e per realizzare pienamente i diritti fondamentali della persona nei settori dell'assistenza sociale, dell'istruzione, della formazione e dell'avviamento allo sport. Allo stesso modo si impegna a diffondere la cultura e la pratica dell'attività sportiva come mezzo finalizzato alla salute psicofisica, all'integrazione e al miglioramento della qualità della vita". L'ultimo progetto in cui la Fondazione si è impegnata è la costituzione di un reparto di neonatologia e terapia intensiva presso l'Holy family Hospital di Nazareth, ma in passato ha raccolto fondi per oltre 2 milioni di euro, contribuendo al finanziamento di 30 progetti dal contenuto sociale.