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Non solo sindacati

, di Federico Farina
Tempi moderni di Chaplin e Bread and Roses di Loach: così in Bocconi Stefano Liebman avvicina i suoi studenti al diritto del lavoro. Tra discussioni sull'articolo 18 e pregiudizi politici

E' giorno di esami per gli studenti di Diritto del lavoro. Fuori dall'aula si assiste ai soliti rituali, le ragazze ripassano torturandosi le mani gelate, i ragazzi sfogliano con finta nonchalance il giornale, commentando le pagine politiche. Non c'è tensione, però, perché, dopo gli iscritti a economia, per i quali l'esame è opzionale, questa è la volta degli studenti specializzandi di giurisprudenza, gente che si è già messa alle spalle mattoni di diritto ben più pesanti. E poi perché il docente, Stefano Liebman, "è severo, ma giusto", confessano i ragazzi. Dura lex, sed lex. Il massimo, per un giurista.

La professione di giuslavorista è tristemente nota alle cronache del nostro paese per essere stata spesso nel mirino del terrorismo delle Brigate Rosse. Perché è così difficile parlare di diritto del lavoro in Italia?
Perché è un tema caldo, nel quale gli interessi in gioco sono molto alti. Il contratto di lavoro è un vincolo di scambio tra datore e lavoratore, ma il lavoro, a differenza di qualunque altro oggetto di contratto, è parte integrante della persona umana, perché da esso dipendono la retribuzione e tanti fattori psicologici fondamentali per la sopravvivenza. Comunque le vicende accadute in Francia dimostrano che non è difficile parlarne solo da noi.

Lei da dove comincia con gli studenti?
Da due anni a questa parte il mio corso inizia con la proiezione di due film, Tempi moderni, di Chaplin, e Bread and Roses di Ken Loach, un film ambientato nella Los Angeles degli anni Ottanta. Lo faccio perché uno dei punti teorici e concreti cruciali del diritto del lavoro è la distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato e, per spiegarlo, ho sempre utilizzato l'immagine di Charlot che finisce dentro gli ingranaggi delle macchine. E' la rappresentazione del lavoratore subordinato, "inserito" nei meccanismi dell'azienda. Un paio d'anni fa, all'ennesima evocazione di questa scena, però, mi sono reso conto che nessuno in aula sapeva di che cosa stavo parlando. Così è anche per il film di Ken Loach, che trovo più esauriente di qualunque lezione e che ho voluto proiettare anche quest'anno.

Gli studenti hanno apprezzato?
Sì, anche se quest'anno qualcuno mi ha accusato di violare la par condicio con il film di Loach. In realtà, sia questo film che Tempi moderni mi servono per inquadrare storicamente la materia e cercare insieme di spiegare le origini del fenomeno sindacale. Parto sempre da qui perché, secondo me, l'emergere del sindacato e l'atteggiamento di reazione dello stato regolatore è il nucleo centrale del diritto del lavoro. E poi perché le dinamiche non sono così diverse oggi da due secoli fa.

Vuol dire che i prossimi sindacalisti non usciranno dalle fabbriche ma dalla Bocconi?
Era così già nelle origini, quando i leader dei movimenti sindacali erano degli intellettuali di primo piano. Il senso dell'evoluzione del sindacato è che sempre di più le intelligenze che lo animano e lo dirigono siano acculturate e preparate sotto il profilo economico.

Tra gli argomenti che si affrontano a lezione ce ne sono molti di attualità. Qual è che scalda più gli animi?
Quello sulla disciplina dei licenziamenti, anche perché sul tema i ragazzi hanno molti pregiudizi. Primo tra tutti quello che in Italia non si possa licenziare e che, naturalmente, questo sia uno dei motivi per i quali è altrettanto difficile essere assunti. Non è vero. In Italia esiste una disciplina che rende il licenziamento individuale più difficile, ma, in compenso, quello collettivo è molto più facile che in qualunque altro paese d'Europa. Inoltre non esiste alcune evidenza empirica tra l'abbassamento della tutela del posto di lavoro e l'aumento del numero di assunzioni. Ma basterebbe pensare che in Italia il 90% delle imprese ha meno di dieci dipendenti e quindi non è tenuta a rispettare le tutele del famoso articolo 18.

Sbaglio o c'è l'idea diffusa che la sua disciplina sia più che altro uno strumento utile alle rivendicazioni dei lavoratori?
E' così. Il diritto del lavoro è considerato un diritto di sinistra. Io dedico molto tempo a sfatare questo piccolo mito. La mia materia è un insieme di regole destinate a disciplinare un rapporto nel quale esiste un conflitto di interesse tra le due parti, ma che, come tutte le regole giuridiche, esiste per regolare il funzionamento tra gli interessi in gioco e tutelare ugualmente entrambi i contraenti.

Il nuovo governo si prepara a una nuova riforma del mercato del lavoro e della legge Biagi, dovrete aggiornare ancora i manuali.
Pare. Mi piacerebbe, innanzitutto, che questa legge non fosse più chiamata così.

E come?
Decreto legislativo 276 del 2003. Nessuna legge della nostra legislazione ha mai preso il nome da qualcuno che non fosse il ministro. La privatizzazione del pubblico impiego l'ha fatta Massimo D'Antona, ma è la legge Bassanini e D'Antona è stato ammazzato allo stesso modo. Non si capisce perché darle il nome di Biagi, dunque, se non per una bieca speculazione politica.

L'ha detto questo agli studenti?
Certamente, nonostante la par condicio.