Meno spesa e più vita. Non è solo una questione di clima
Che bilancio si può trarre a 30 anni dall'istituzione del Servizio sanitario nazionale (Ssn)? Su che basi si può razionalmente valutare il suo operato? Un modo semplice per guardare al Ssn è analizzare i suoi fondamentali, in una prospettiva comparata.
Nel 1980 la vita attesa dei cittadini italiani era 74 anni, nel 2005 era 81, tra le più alte d'Europa e quasi 3 anni più elevata che negli Stati Uniti. La vita attesa dipende da fattori esterni ai sistemi sanitari, come gli stili di vita, i rischi ambientali e le condizioni socio-economiche. La mortalità infantile, invece, è più sensibile al funzionamento dei servizi sanitari: laddove è bassa, significa che mamme e bambini sono seguiti bene nella quotidianità come nelle emergenze, eventualmente anche con interventi con tecnologie complesse. Nel 1980 l'Italia aveva una mortalità infantile di 14,6 bambini morti nel primo anno di vita per 1.000 bambini nati, il valore più alto di quelli presentati in tabella. Nel 2005, la mortalità infantile era pari a 3,8, uno dei livelli più bassi del mondo.
Sicuramente questo risultato è stato favorito dal clima, dalla dieta e da istituzioni familiari solide, ma il Ssn italiano ha dato un contributo rilevante, attestato da evidenze concrete, alla salute degli italiani. Quest'ultima, infatti, è notevolmente migliorata da quando il Ssn è stato istituito.
A quali costi tali risultati? Nel 1980 la spesa sanitaria pubblica sul Pil era pari a circa il 5,7%; in 25 anni è cresciuta di circa un punto percentuale. Ma la crescita della spesa sanitaria pubblica in Italia, che si attesta negli anni più recenti attorno al 6,5/7%, è stata inferiore a quella della Francia e della Germania che hanno percentuali rispetto al Pil abbondantemente sopra l'8%. La spesa sanitaria pubblica italiana è pertanto cresciuta a tassi più contenuti di quella dei maggiori paesi europei.
In sostanza, i dati di lungo periodo del sistema sanitario pubblico del nostro paese sono sostanzialmente positivi, almeno a livello aggregato. Il Ssn presenta dati di performance positivi. Dai numeri, infatti, appare che nel 1978 gli italiani fecero bene a razionalizzare il vecchio sistema mutualistico e a creare un sistema di garanzie nazionali affidato alla gestione delle regioni.
I dati di sintesi possono mascherare forti variazioni territoriali ed è quindi importante avere una lettura più approfondita delle tendenze regionali. Effettivamente l'Italia continua ad avere forti differenze interne, non tanto per quanto riguarda la spesa pubblica pro capite, la cui variabilità è stata notevolmente ridotta, piuttosto per quanto concerne alcuni essenziali indicatori di salute. Purtroppo, ancora oggi i cittadini del Mezzogiorno registrano tassi di mortalità infantile nettamente superiori alla media europea e la stessa vita attesa, favorita dal clima e dalla dieta del Mezzogiorno, non cresce più ai ritmi di quella del Nord. Insomma, i dati medi sono buoni, anche se le differenze tra le regioni persistono, quasi a ricordarci che neppure un buon sistema nazionale può rendere omogenee le condizioni di vita e di salute nelle diverse regioni italiane.
Nel 2000 l'Oms diede la medaglia d'argento al sistema sanitario italiano, ritenendolo inferiore soltanto a quello francese. Anche i dati più recenti mostrano un sistema sostanzialmente efficace ed economico nel contribuire a produrre salute. Tali dati nulla tolgono alla gravità di numerosi scandali o a i disservizi che gli italiani quotidianamente incontrano nell'accedere al sistema sanitario. Ma le macro-evidenze sono positive e le politiche sulla salute degli ultimi 30 anni, che hanno visto nella regionalizzazione, nell'aziendalizzazione e nella competizione amministrata gli assi portanti, potrebbero essere d'insegnamento anche per altri settori della pubblica amministrazione come l'istruzione e l'assistenza sociale.