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Maternita' e imprese: anche lo 0,016% del fatturato puo' fare paura

, di Adele Mapelli - coordinatrice dell�Osservatorio sul diversity management della Sda Bocconi
A fronte di una spesa davvero irrisoria, persistono i luoghi comuni che vedono la donna-madre come ingestibile

Il costo della maternità è spesso denunciato come l'elemento più limitante per le carriere al femminile. Il periodo di assenza viene paventato dai datori di lavoro come un momento di difficoltà organizzativa per la sostituzione e assentarsi dal lavoro per una motivazione socialmente accettabile, diventa motivo di difficoltà per le donne.

Osservando la situazione italiana, dove il tasso di natalità è di 1,3 figli per coppia, uno dei più bassi al mondo, è difficile pensare che le organizzazioni non siano in grado di reggere economicamente l'assenza per maternità di un proprio collaboratore, considerando che statisticamente questo accade molto raramente. Quali sono allora gli elementi oggettivi, in termini di costi, che contribuiscono ad alimentare tale stereotipo?

Per rispondere a questo interrogativo, l'Osservatorio sul diversity management della Sda Bocconi sta realizzando una ricerca su un tema che rischia, se non oggettivato, di consolidare fenomeni organizzativi negativi per le donne (tra cui il pay-gap, la segregazione orizzontale e quella verticale) e di alimentare stereotipi o distorsioni che minano il percorso di carriera delle donne, che siano madri o potenzialmente madri.

I primi risultati della ricerca evidenziano tre elementi che scardinano tre importanti stereotipi esistenti sul tema della maternità.

Il primo è che la legislazione vigente nel nostro paese circa la tutela della maternità non è tra le più protettive e generose. Paesi con leggi più tutelanti della nostra (Olanda, Austria) registrano tassi di occupazione femminile molto più alti dell'Italia. Affermare quindi che la nostra legge "È iperprotettiva e controproducente", "È un diritto obsoleto per le donne manager", induce un'idea non corroborata dai dati. Oltre a questo, non esiste una relazione tra la generosità dei congedi e il tasso di occupazione delle madri. Ciò significa che la generosità dei congedi non va vista come un ostacolo all'occupazione femminile e premessa per l'uscita prolungata e/o abbandono in seguito alla gravidanza.

La seconda evidenza è che al contrario degli anni '70, dal 2000 la correlazione tra tassi di occupazione femminile e tassi di fecondità è positiva: non è vero che più le donne lavorano e meno figli fanno. È invece vero il contrario: i paesi con maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro sono anche quelli con tassi di fecondità più alti.

Il terzo elemento confermato dalla ricerca è che esistono due tipologie di costi per le aziende: i costi vivi monetari, spese quantificabili con relativi esborsi, e i costi percepiti, che si riferiscono a voci che non generano una spesa immediata ma sono sentiti come uno sforzo da sostenere (costi di sostituzione, di riorganizzazione del lavoro, di aggiornamento della donna al rientro, della possibile perdita di human capital). I costi vivi rappresentano lo 0,016% del fatturato aziendale, una spesa irrisoria se paragonata ad altri capitoli di spesa. I costi percepiti sono invece correlati all'incertezza del loro governo: è difficile per un'organizzazione pianificare per quanto tempo effettivamente la donna si asterrà dal proprio lavoro. L'incertezza è quindi la variabile di costo più significativa poiché ha un impatto diretto sui costi percepiti che a loro volta richiedono uno sforzo gestionale pesante.

È intuitivo, ma dimostrato dalle statistiche, come sia possibile governare i costi percepiti attraverso pratiche specifiche di gestione della maternità (part time, telelavoro, flessibilità oraria, asili nido aziendali), un ambiente organizzativo di supporto e la creazione di una buona relazione con il proprio capo. Se la donna lavora in un ambiente non ostile, sarà più propensa a negoziare con l'azienda in un'ottica win-win, optando per soluzioni soddisfacenti per lei e per l'organizzazione. Inoltre, se esistono le precondizioni organizzative che la guidano ad attuare una negoziazione integrativa, la donna è più disponibile a pianificare la propria maternità tenendo presenti le esigenze dell'azienda.

Alla luce di tutto questo, appare evidente che oggi la maternità non è gestita con razionalità e programmazione, come per altro si fa da tempo per tutti gli altri fattori organizzativi.